26 gennaio 2020 – III Domenica del tempo ordinario (anno A) – Don Samuele
Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.
Domenica scorsa abbiamo colto e accolto la segnalazione di Giovanni Battista, che ci ha fatto incontrare Gesù come l’Agnello che porta sulle sue spalle tutto il male del mondo. Questo incontro è avvenuto sulla sponda del fiume Giordano, nella Giudea, a sud di Israele, la terra ritenuta dei puri di Israele, i veri giudei, i migliori credenti.
Una terra per certi aspetti ancora “vergine”
Oggi, invece, siamo catapultati molto a nord, in quella terra di Zàbulon e di Nèftali, umiliata, in passato, perché ritenuta estremità annacquata di Israele, terra di compromessi e di tiepidezza, luogo di accidia spirituale e di poca fede. Già il profeta Isaia, nella prima lettura, annuncia un futuro di riscatto, e contempla l’opera di Dio, che “renderà gloriosa la via del mare”, la “Galilea delle genti”, cioè la regione abitata da tante genti, ovvero da quelli che non sono ebrei. E. guarda che stranezza, proprio qui, nella zona più distante da Gerusalemme, accade che “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce”. Questa luce è brillata nella notte di Betlemme, in Giudea, “ma chi se ne frega”, è stata la reazione dei giudei. È tornata a brillare con la stella dei Magi, e a Gerusalemme, ancora, “ma chi se ne frega”. È stata annunciata dal Battista al Giordano, ed ancora una volta, “ma chi se ne frega”. Per chi sembrava condannato ad una vita insipida e grigia, invece, Dio moltiplica la gioia, ed aumenta la letizia. E quale è la causa di tanto giubilo? Dio! Colui che ha “spezzato il giogo che l’opprimeva”. Dio ha offerto in dono gratis la sua libertà, e questo popolo, che sembrava il meno adatto, ha accolto il dono.
Chissà quante volte nel tempio di Gerusalemme, in Giudea, risuonavano le parole del Salmo 26, che oggi abbiamo pregato: “Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura?”, nel tempio erano insistenti, ma non nei cuori, non nei sogni e nei desideri, non nella vita, di chi non sapeva cosa farsene della luce di Dio. Nella Galilea, abitata da tante genti non ebree, non abituate a frequentare il tempio di Gerusalemme, lontano geograficamente ed affettivamente, invece le parole del salmo “Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario”, erano più sincere.
La luce trafigge i primi discepoli
E così succede il paradosso: Gesù non sta nei paraggi di Gerusalemme e del tempio, ma venne a Cafàrnao “perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa”. Siamo nel “nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano”, è la “Galilea delle genti!”. E qui la profezia diventa realtà, dono di Dio, appello all’uomo, risposta positiva di gente in carne ed ossa, che, dopo essersi accontentata di una vita normale, fatta di casa e di lavoro, scopre che vi può essere un senso diverso nella vita. Nella loro mente e nel loro cuore, nella loro anima e nella loro coscienza, nel grigiore e nella routine cui sono abituati, si accende “una grande luce”. Hanno incontrato il senso della vita, e lo hanno seguito.
Non si tratta di persone altamente preparate e qualificate, è gente normalissima, strappata ad un lavoro umile e poco raffinato: sono “due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea”, e poi “altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello”. Cosa stavano facendo di speciale per attirare l’attenzione di Gesù? Niente! I primi due “gettavano le reti in mare”, gli altri due “nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti”.
E per quale incarico vengono chiamati? Un lavoro assurdo: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”. Credo che tutti avremmo vergogna, se qualcuno ci chiedesse che lavoro facciamo, a rispondere: il “pescatore di uomini”. Potremmo addirittura indignarci se all’ufficio collocamento qualcuno osasse proporci tale mestiere. Ed invece questi quattro, inspiegabilmente rispondono all’appello di Gesù: “Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono”.
Vi è un qualcosa di istintivo e di brutale in questa chiamata-risposta, o forse vi è qualcosa di veramente profondo. Infatti, pochi versetti prima Matteo ci aveva informati sul fatto che “da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino»”. Probabilmente questo invito era già risuonato generico alle loro orecchie, ed aveva costretto Pietro ed Andrea, Giacomo e Giovanni, ad interrogarsi sulla loro vita, sulle loro scelte, sulle impostazioni che davano al loro cuore ed al loro tempo, al loro presente ed al loro futuro.
La concretezza della conversione
Quando però l’appello ha smesso di essere generico, ma si è fatto mirato, personale, chiamati in causa direttamente, probabilmente non ce l’hanno più fatta a fuggire la questione, ed il tarlo messo da Gesù nella loro coscienza, ha corroso i muri e le barriere di cui facilmente ci circondiamo, per evitare che certe proposte divengano una breccia attraverso la quale la luce entra nel nostro grigiore, illumina la caverna oscura della nostra anima, dove facilmente trova albergo il contrario delle virtù, cioè la poca fede, la debole speranza, l’insufficiente amore, e così, anziché crescere la virtù – ovvero la forza – cresce la debolezza dei vizi capitali, li conosciamo ancora? La superbia, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, la gola, l’ira, l’accidia. Ci crediamo ancora che questi sono i nemici della nostra felicità perché ci rattrappiscono l’anima? Ed ecco che di fronte ad una provocazione che ha dell’insensato, hanno accettato come cosa più ragionevole del buon senso, l’insensatezza di Dio: “Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono”. Sì, è possibile, è ragionevole, è umano, è esaltante, per una persona accogliere la provocazione e l’appello di Dio, e lasciarsi trasformare da Lui, e scoprire che le piccole e meschine gioie di cui ci siamo accontentati finora sono veramente una miseria rispetto a ciò che ci offre la nuova Weltanschauung, la nuova visione del mondo di Gesù.
Sane provocazioni
Così racconta il passaggio un grande giornalista italiano: “Cristo, di tutti i provocatori, è il numero uno. Con la differenza che i grandi provocatori, positivi o negativi che siano, dopo un po’ di tempo perdono mordente, entrano nella storia, si allineano tra i classici o i mostri da baraccone. Gesù invece, considerato mille volte un personaggio mai ricostruibile o addirittura mai esistito, ha una vitalità, starei per dire una radioattività perpetua che non è di nessun altro. E non se ne sta per conto suo, a rappresentare solo se stesso, come Osiride o Teodorico, Ercole o Fausto Coppi. Gesù entra irresistibilmente in noi, ora con dolcezza, ora con prepotenza; o almeno, ha la netta tendenza a farlo. Spesso ci riesce anche a nostra insaputa. Quando non ci riesce è perché noi stessi gli abbiamo sbarrato porte e finestre. Una volta entrato, poi, si comporta come un dolce ma inesorabile padrone di casa. Un fatto che non mi stancherò mai di ammirare è come l’essere forgiati a somiglianza di Gesù non solo non cancelli la nostra fisionomia rendendoci altrettante fotocopie di un originale comunque irriproducibile, ma al contrario esalti al massimo le nostre caratteristiche più individuali, facendo di ciascuno di noi un unicum a fortissimo rilievo. Si esamini la galleria dei santi com’è variata e polifonica, pur ispirandosi tutti i santi a un unico modello di cui si proclamano imitatori. Si noti invece che squallore ripetitivo, che sguaiata banalità seriale in tanti di coloro che si proclamano originali, inimitabili, irregolari, siano tiranni antichi e recenti, siano libertini e libertine delle più varie estrazioni. Dunque il padrone di casa ha preso possesso di noi. Il che non vuol dire (magari così fosse!) che da quel momento diventiamo perfetti cristiani. Saremo magari ancora e sempre incalliti e recidivi peccatori, anime dubbiose e a tratti incredule: ma ormai nel segno di colui che ci inabita e che ha già deciso, in un modo o nell’altro, di farci suoi. Da quel momento, la presenza in noi di quel personaggio divino si palesa in una serie di provocazioni che a volte può arrivare all’esasperante. Tanto che, per non essere provocati più oltre, molti danno lo sfratto a quel “prepotente” e si riprendono le chiavi di casa. Non lo auguro a nessuno e lo deploro, ma a volte li capisco” 1.
Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni non si sono più ripresi le chiavi di casa, hanno lasciato che Gesù fosse il Signore, il padrone di casa, e con passione si sono dedicati al mestiere di pescatori di uomini, e con una pesca veramente miracolosa, già dagli inizi, perché “Gesù percorreva tutta la Galilea”, facendo la stessa cosa, intercettando altre persone, offrendo a tutti il dono di accendere una luce nella loro vita. E dopo 2000 anni siamo qui a vivere la stessa esperienza, e a decidere oggi se vogliamo continuare a brancolare nel grigiore o se vogliamo tuffarci nella luce del Signore Gesù, e trovare in lui una ragione valida per credere, per sperare, per amare, per sognare, per progettare, per spenderci, e per essere veramente felici. Si cercano per la Chiesa e per il mondo nuovi pescatori di uomini. Vuoi essere uno di loro?
Pescatori di uomini per l’unità della Chiesa
Se poi volete un ambito concreto dove fare questo, vi lascio l’incombenza di rileggere la seconda lettura di oggi, tratta dal primo capitolo della prima lettera ai Corinzi di S. Paolo, dove l’apostolo affida ai battezzati l’impegno ad essere “essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire”. Quanta pesca c’è ancora da fare in questo settore, quanto vi è da contrastare l’azione dei seminatori di zizzania, dei Gengis Kan delle comunità cristiane, degli Attila della comunione, il che non significa mettere la testa nella sabbia per non vedere contrasti e tensioni, ma significa pregare e lavorare perché le differenze siano ricondotta ad unità con la conversione di tutti a Colui che ci chiama e ci manda ad essere pescatori di uomini. Vuoi essere uno di loro?
1 Chiusano I.A., Provocato rispondo, Cles, A. Mondadori editore, società S. Paolo, edizione fuori commercio, 1992, pp. 53-54.