23 febbraio 2020 – VII Domenica del tempo ordinario (anno A) – Don Samuele
Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.
Domenica scorsa abbiamo ricevuto una scossa salutare dall’Evangelo, soprattutto ci è stato indicato un criterio di valutazione mai superato per un credente: “Vi è stato detto, ma io vi dico!”.
La pretesa di assolutezza di Gesù Cristo
Qualsiasi cosa, ci può essere stata detta dalla persona più autorevole, come Mosè, ma Gesù rivendica a sé il diritto assoluto di poter decidere di qualsiasi parola, disposizione, regola umana, e di sottoporla a conversione, portandola a quella piena maturità che consiste fondamentalmente nella sua persona. Cosa vuol dire che Gesù è il Signore? Che la sua Parola ha la precedenza e la prevalenza su qualsiasi parola umana, che la sua proposta di vita ha la precedenza e la prevalenza su qualsiasi altra proposta di vita. Capite allora perché i credenti sono tanto pochi! Sono veramente rare le persone disposte a lasciare sfrattare, dalla propria vita, il loro io, le loro voglie, i loro capricci, per lasciare instaurare nel loro cuore la signoria assoluta di Gesù Cristo.
Quale libertà?
E molti tra voi potrebbero obiettarmi: “ma in questo modo uno perde le sua libertà!”. Perché, credete che al mondo le persone veramente libere siano tante? Vi sbagliate. Proprio chi urla ai quattro venti la sua assoluta libertà rischia di essere proprio la persona più schiava di sé e dei suoi umori, delle sue passioni e degli altrui pregiudizi, dei commenti e delle pressioni degli altri! Se siamo onesti, dobbiamo riconoscere che l’esilio del Signore Gesù dal cuore di molte persone e di molte società occidentali, non ha prodotto una crescita, ma un difetto di umanità e di libertà. Su questa questione tornano alla mente parole pronunciate, oltre 50 anni fa, dal Concilio Vaticano II, e quanto mai attuali: “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo … Cristo, …, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione” (Gaudium et Spes 22).
La pretesa della santità
Alla luce di queste considerazioni riusciamo a capire il senso incredibile delle letture di questa Domenica. Incredibile la pagine evangelica, ma incredibili anche le richieste formulate 1.300 anni prima da Mosè a Israele, un non popolo, che da 400 anni era abituato alla vita da schiavi (che è molto peggio della vita delle bestie), ed, improvvisamente si trova, non solo libero dalle catene, ma portato ad una dimensione umana più alta di qualsiasi popolo vicino: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”. Potremmo immediatamente smontare la proposta di Dio dicendogli: “Ma Signore, noi siamo peccatori, non santi!”. È evidente che, se per santi, intendiamo “capaci di fare miracoli”, o “gente che passa le giornate con le mani giunte”, nessuno è santo. Vi do ragione, ma vorrei anche aggiungere che sul termine “santo” ci sono molti equivoci. Ci siamo abituati a raffigurare i santi come personaggi anemici, dal collo torto, dotati di poca virilità, ma queste raffigurazioni, che abbondano nelle nostre chiese, hanno deformato l’idea di santità. Il termine ebraico Qadosh (santo), significa sostanzialmente “differente”. Dio è santo perché è differente dal mondo, dalle persone, e dalle cose del mondo. Differente non significa estraneo, anzi, Dio ha voluto continuamente inserirsi nel mondo, soprattutto nel cuore dell’uomo, per aiutarlo ad effettuare salti di qualità, passando da un livello istintuale ad un livello umano, e spiccando il volo da un livello semplicemente umano ad un livello divino. Sì, è possibile vivere in questo mondo non da bestioni, ma da figli di Dio. Si può vivere la vita umana “da Dio”, il che noi lo diciamo per esprimere il massimo ed il meglio. “Come stai? Sto da Dio!”. Ecco, Dio ci dà la possibilità di vivere così, non nelle grandi occasioni, ma quotidianamente. Se non ci rassegniamo alle bassezze, ma aspiriamo alle altezze, allora la vita dell’uomo diventa una vita “da Dio”. Passiamo dai ragionamenti alla concretezza: la regola comune tra esseri umani, spesso è “frega il prossimo tuo prima che lui freghi te”? Bene, i figli di Dio intendono essere differenti. Come ce lo raccontava il libro del Levitico: “Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso”. Ma come è possibile andare totalmente contro corrente rispetto alle normali abitudini umane? Risposta: perché “Io sono il Signore”, e solo se accetti questa realtà, che “Io sono il Signore”. Al di fuori questa signoria scordatelo! Se ci crediamo ancora che Dio è il Signore, tutto è possibile; se non ci crediamo più che Dio è il Signore, perché siamo diventati atei o pagani, tutto è pura fantascienza. Se ci crediamo che questo è il suo modo di fare, questo deve diventare il nostro modo di fare. Siamo sua immagine e somiglianza sì o no?
La pretesa della misericordia
Sulla difficoltà di entrare in questa logica ci conforta il Signore Gesù, che nel brano dell’Evangelo appena ascoltato ci ha ricordato che la proposta di Mosè si era presto scontrata con la testa dura degli ebrei, tanto che egli aveva dovuto correggere il tiro e introdurre una famosa regola per mettere ordine nella vendetta: “Occhio per occhio e dente per dente”. Il che vuol dire: “se litighi e nella rissa rovini un occhio a qualcuno, in risposta puoi avere altrettanto, non di più, idem se ti buttano fuori un dente non puoi rovinare l’intera dentiera”. Se pensiamo che esistono faide che durano da secoli, partite da una sciocchezza e costate decine di morti, la regola di Mosè era alquanto equilibrata. Ma proprio perché Gesù è Signore anche della Legge di Mosè porta la questione sul piano della santità, cioè della differenza. L’uomo istintivamente si vendica, Dio istintivamente perdona. Volete provare a vivere da Dio? Ecco come si fa: “Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Ma come è possibile andare totalmente contro corrente rispetto alle normali abitudini umane? Perché Dio è così, e Gesù si è comportato così. E se lo ha fatto con noi uomini, chi siamo noi per non farlo tra simili?
La pretesa dell’amore per i nemici
Cosa c’è di più umano e istintivo dell’“Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Lo sanno fare tutti benissimo. Per questo Gesù afferma: “Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli”. Sembra davvero il colmo, ma non dimentichiamo che “egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”.
L’amore è gratuità, ora “se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete?”, questo non è amore ma commercio: do ut des. Lo fanno tranquillamente anche i pubblicani, anche i pagani, anche gli atei, anche i terroristi, anche i mafiosi! Per i cristiani lo stile richiesto è “santo”, cioè “differente”. Lo ha espresso efficacemente Martin Luther King, all’indomani di episodi drammatici come l’avergli bruciato la casa, picchiato la moglie ed i figli, in “La forza di amare”, con queste parole forti: “Ai nostri più accaniti oppositori, noi diciamo: noi faremo fronte alla vostra capacità di infliggere sofferenze con la nostra capacità di sopportare le sofferenze; andremo incontro alla vostra forza fisica con la nostra forza d’animo. Fateci quello che volete, e noi continueremo ad amarvi. Noi non possiamo, in buona coscienza, obbedire alle vostre leggi ingiuste, perché la non-cooperazione col male è un obbligo morale non meno della cooperazione col bene. Metteteci in prigione, e noi vi ameremo ancora. Lanciate bombe sulle nostre case e minacciate i nostri figli, e noi vi ameremo ancora. Mandate i vostri incappucciati sicari nelle nostre case, nell’ora di mezzanotte, batteteci e lasciateci mezzi morti, e noi vi ameremo ancora. Ma siate sicuri che vi vinceremo con la nostra capacità di soffrire. Un giorno, noi conquisteremo la libertà, ma non solo per noi stessi: faremo talmente appello al vostro cuore ed alla vostra coscienza che alla lunga conquisteremo voi, e la nostra vittoria sarà una duplice vittoria. Credo tutti abbiate capito cosa significa “Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”.
La pretesa della perfezione
Il Signore non pretende che diventiamo impeccabili, perché questo è impossibile, ci chiede di diventare esperti in amore come lo è il Padre. Chi ci prova è un santo ed un sapiente come ci chiedeva Paolo nella 2 lettura: bisogna farsi stolti agli occhi degli uomini per diventare sapienti, “perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: «Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia»”. “Nessuno ponga il suo vanto negli uomini, … voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”. Auguro a tutti voi di sperimentare la beatitudine di questa santità, di questa “perfezione”.