5 aprile 2020 – Domenica delle Palme – Don Samuele
Commemorazione dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme:
Popolo dell’Osanna, o popolo del Crucifige?
Sia lodato Gesù Cristo – Sempre sia lodato
La doppia anima di questa celebrazione è molto evidente. Essa inizia con la commemorazione di un momento di festa: l’accoglienza trionfale, di Gesù in Gerusalemme, trattato dalla gente come un liberatore, come il Messia atteso e desiderato dal popolo. Quando però, ci si aspetterebbe di vedere un riconoscimento corale, una intronizzazione, ecco, invece, il racconto drammatico della passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo.
La schizofrenia di Gerusalemme
Ci troviamo di fronte ad un episodio di vera e propria schizofrenia collettiva. Colui che è stato osannato come liberatore, nel giro di pochi giorni viene trattato come il peggiore criminale, ed eliminato. A Lui è stato preferito un avanzo di galera, un pendaglio da forca come Barabba, comer ci raccontava la narrazione della Passione. Questo squallido spaccato di umanità, volubile ed instabile, ci fa aprire gli occhi sul fatto che la gente è facilmente manipolabile e plagiabile: basta un urlo per attrarre gli applausi ed i consensi della folla, e basta un altro urlo per capovolgere la situazione ed abbattere da una posizione elevata, chi sembrava il naturale leader del popolo. Bastano i giornali o i social a esaltare il nulla, a creare un personaggio che non esiste, e a demolire, invece, un uomo grande: la storia che stiamo vivendo ci offre episodi eloquenti. Non diciamo però che gli ebrei erano un popolo-bue, perché nella storia, la stessa scena si è ripetuta e si ripete ovunque: nelle piazze e nei palazzi, sulle barricate e nelle folle, tra le persone ai crocchi delle strade, persino nelle chiese. Quanto è facile osannare oggi e crocifiggere domani! Come disse il Manzoni, nella celebre poesia “Il cinque maggio”, che quelli della mia generazione ancora hanno imparato a memoria alle elementari: “tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il tristo esiglio; due volte nella polvere, due volte sull’altar”. Sì, è facilissimo accendersi di un fuoco di paglia, entusiasmarsi per qualche istante per un ideale, per una persona, e poi gettare tutto alle ortiche. Ma non ditemi che questi sono uomini! Questa schizofrenia di Gerusalemme, e di chissà quante altre città, e di chissà quanti paesi, è segno di una umanità carente, inquinata, viziata, perché coloro che viaggiano dal pero al melo non sono uomini.
Popolo dell’Osanna, o popolo del Crucifige?
Di fronte ad un tale spaccato di umanità una domanda si impone: noi, che oggi ci confrontiamo con quanto è accaduto a Gerusalemme, vogliamo essere il “popolo dell’Osanna”, o il “popolo del Crucifige”? In altre parole, vogliamo essere un popolo che sta con Cristo, sempre e comunque, costi quel che costi, solidali con Lui nella persecuzione, e fino alla morte; oppure vogliamo essere un popolo umorale, che sta con Lui quando capita, quando torna comodo, quando un pericolo incombe, quando non si ha niente di meglio da fare, e, in questo modo, alziamo un muro sempre più insormontabile tra noi e Lui? Se ci stringiamo attorno a Cristo perché l’ulivo ha un qualcosa di poetico, perché ci è gradito un simbolo di pace, perché va bene bruciarlo quando ci sono i temporali, perché in questo momento abbiamo un po’ di strizza, mentre il coronavirus può colpire chiunque, in qualsiasi momento, perché a primavera si sente il desiderio di un po’ di festa … vedete, se siamo in questa prospettiva, allora facilmente canteremo prima l’Osanna, e poi, altrettanto facilmente, grideremo il nostro Crucifige, nel momento in cui Gesù Cristo tentasse di scuoterci dal nostro torpore poetico, e di dirci che, se vogliamo essere suoi discepoli, non possiamo accontentarci di tenere in casa un mazzetto di ulivo benedetto, ma occorre diventare discepoli, abbracciare la croce, e camminare sulle sue orme; nel momento in cui ci chiederà, per fare pace, di dichiarare guerra dentro di noi al nostro egoismo, alla nostra indifferenza, che produce più cadaveri di una strage; nel momento in cui Gesù ci porrà un aut aut non rinviabile tra una serie di superstizioni e la fede, tra “ciò che spesso han mascherato con la fede”, tra “i miti eterni della patria o dell’eroe”, tra “tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura, una politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto” [1], e la fede autentica! Se Gesù ci chiedesse di lasciare da parte tutte queste cose, saremmo disposti? In questi giorni, mentre sto attaccato al telefono per incontrare comunque le persone della nostra comunità, e ne sto incontrando davvero tantissime, rilevo nei colloqui voglia di pensare, bisogno di pensare, è l’aspetto “positivo” di questa epidemia, perciò mi permetto di suggerirvi qualche pensiero ingombrante, vorrei riuscire a darvi da pensare in questa settimana santa. Ripeto: vogliamo essere popolo dell’Osanna, o popolo del Crucifige? Vogliamo essere un popolo che fa festa per e con il suo Signore, stabilmente, 365 giorni l’anno, 52 domeniche all’anno? Oppure preferiamo dedicarci all’Osanna qualche volta di domenica, e poi per gli altri giorni – lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato … tante volte, troppe volte, anche la Domenica – rimane solo il Crucifige, perché Cristo scompare dall’orizzonte della nostra vita, della nostra famiglia, del nostro lavoro, dei nostri interessi, del nostro tempo libero? In quante Domeniche di molti cristiani, nemmeno nel giorno del Signore, non vi è più l’Osanna, ma solo il Crucifige, perché, di fronte alla scelta: Cristo o Barabba, ci sono cristiani che scelgono un qualsiasi mentecatto Barabba? La grave situazione sanitaria del pianeta, che sta rimettendo nelle persone la voglia di trattare ancora le grandi questioni, di porsi quelle domande religiose sul perché dell’oggi e sul fine della nostra vita, ci può aiutare a cantare “Osanna” a Colui che viene a offrire risposte e refrigerio, mi auguro a tutti.
“Ecco la generazione che cerca il tuo volto”
Il discorso vale soprattutto per i giovani, che saluto cordialmente, in questa giornata che è loro, i giovani che stanno vivendo la fatica della limitazione alla loro libertà, perché non sono più abituati a sacrifici di questo genere. Giovanni Paolo II è il Papa che ebbe l’intuizione di dichiarare la Domenica delle Palme “Giornata Mondiale della Gioventù”, dando avvio ad un pellegrinaggio dei giovani che, partito da Roma, e passato attraverso Buenos Aires, Santiago de Compostela, Częstochowa, Denver, Manila, Parigi, Roma, Toronto, Colonia, Sydney, Madrid, Rio de Janeiro, Cracovia, Panama, approderà a Lisbona nel 2022. Questo itinerario ha indicato, in modo forte ed entusiasta, Cristo come via, verità, e vita dei giovani. Vedendo ciò che è accaduto in queste grandi città, divenute capitali del mondo per qualche giorno, credo che tutti noi abbiamo provato un brivido di consolazione e di speranza, perché lì abbiamo potuto vedere ciò che canta il salmo XXIV: “Ecco la generazione che cerca il tuo volto”. Ringraziamo Dio per quanto è successo in queste città, e per ciò che succederà, perché crediamo che succederà. A me piacerebbe entrare, per qualche istante, furtivamente, nell’animo del nostri giovani, per cercare di capire come essi si pongono di fronte a queste cose, come si pongono di fronte a Cristo, e tentare di accorgermi se io, se noi, siamo capaci di presentarlo e di proporlo a loro in modo affascinante, se riusciamo a far sentire loro la necessità vitale di instaurare con Lui una relazione non epidermica, ma profonda e coinvolgente; se i suoi valori, raccolti nell’Evangelo, noi adulti li crediamo e li rendiamo credibili, con la nostra convinzione, con la nostra coerenza, con la nostra testimonianza, con l’Osanna della nostra vita. Io prego il Signore, oggi, perché di me, di voi, soprattutto dei nostri giovani si possa dire onestamente: “Ecco la generazione che cerca il tuo volto”!, con la certezza che più sapremo svuotarci, sull’esempio di Lui – come ci ha descritto il mirabile inno della lettera ai Filippesi, la seconda lettura di oggi -, e più ci troveremo ricolmi della luce, della gloria, della pace di Dio.
Augurio
All’inizio di questa singolare Settimana Santa, mentre accanto alla croce di Gesù si ergono tante croci di dolore e di solitudine, di passione e di morte, di molti fratelli e sorelle, vorrei raccomandare a tutti di vivere intensamente questi giorni, rafforzando la nostra comunione con il Signore e con tutti i fratelli e le sorelle che soffrono. Vi invito a sperimentare quell’invito di S. Paolo a portare i pesi gli uni degli altri, a soffrire con chi soffre, a gioire con chi gioisce, ad essere vicini gli uni agli altri, perché nessuno perda la fede, resti privo di speranza, si chiuda all’amore. Insieme condividiamo questo lungo tempo di passione, pregando con fiducia che venga presto la Pasqua di risurrezione e di vita.
[1] Guccini F., Dio è morto.