OmelieOmelie Maggio 2020

31 maggio 2020 – Domenica di Pentecoste (anno A) – Don Samuele

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

 

La festa della Pentecoste è tanto antica quanto nuova. Antica perché era celebrata ancora prima degli ebrei – era la festa del raccolto, delle messi, non dimentichiamoci che nel medio oriente le temperature sono più elevate, in questa stagione ed il frumento era maturo, pronto per essere raccolto –, ma per gli ebrei, questa festa era il giorno culminante le 7 settimane, 50 giorni dopo la Pasqua (Pentecoste, appunto), per ricordare un momento fondamentale della loro storia: il giorno in cui Dio aveva impresso con il fuoco sulle tavole di pietra i 10 comandamenti. Era la festa del dono della Legge.

 

La Pentecoste di ieri e di oggi

Ecco, proprio nel giorno di questa memoria accade quanto ci ha raccontato la 1 lettura: “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa … Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue … A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua”. Quando si parla di folla era una folla considerevole: studiosi della storia ebraica hanno appurato che per la festa della Pasqua arrivavano a Gerusalemme mediamente 2.300.000 persone; per la Pentecoste, stagione più favorevole per i viaggi, si passavano i 3.000.000 di persone in città. Quindi questo rumore improvviso, questo fuoco che scuote la città, muove una folla considerevole. Protagonista è ancora il fuoco, quello dello Spirito, la materia su cui viene scritta la nuova legge non è la pietra, ma il cuore, il cuore delle persone singole e della Chiesa, sì, perché a Pentecoste nasce la Chiesa proveniente da ogni nazione del mondo. Luca, nel libro degli Atti, si premura di elencare 15 nazioni: Parti, Medi, Elamiti, Mesopotamici, Cappadoci, gente del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e della Libia, di Roma, della Giudea, di Creta e dell’Arabia erano le 15 nazioni che completavano il quadro del mondo antico. Certo non c’era il Venezuela e neanche l’Antartide, perché all’epoca questi mondi non erano conosciuti. Così ci informa che i discepoli investiti dallo Spirito si son messi ad un tratto a parlare in tutte le lingue del mondo allora conosciuto. E chi ascolta e crede, chi segue e vive il Signore, edifica la Chiesa. Quella festa dunque, che ricordava, oltre alla Legge, il raccolto dei campi, diventa giorno in cui il campo della Chiesa produce il suo frutto maturo. Il Venerdì Santo, era il giorno in cui il chicco di frumento, il corpo di Gesù era stato messo nella terra per morire; la Pentecoste festeggiava la mietitura dei frutti della morte di Cristo. Questo è il nesso che anche i più autorevoli Padri della Chiesa vedevano fra la Pentecoste giudaica e la cristiana. E quel fuoco non potrà serpeggiare solo tra le mura di Gerusalemme, ma dovrà essere portato ovunque, dai nuovi discepoli che saranno investiti dal medesimo fuoco. E chi sono questi nuovi discepoli? Sono tutti quelli che hanno ricevuto la Cresima, che non possono ricevere un fuoco dal cielo e metterlo sotto un moggio, sotto un secchio, ma devono farlo divampare, perché questo fuoco cambi il mondo. C’è uno straordinario modo di raccontare tutto ciò nell’immenso portale della basilica di Vézelay, in Borgogna: il Cristo scolpito, gigantesco, ciclopico, ha due mani allargate dalle quali partono fiamme di fuoco. I discepoli più piccoli, quasi dei nanetti, raccolgono queste fiamme e le portano nei riquadri che contornano la scultura, e gli esseri mostruosi che qui sono rappresentati si trasformano in uomini e donne bellissimi. Questo è il fuoco dello Spirito che noi, che tutti i cresimati sono chiamati a diffondere: portare il fuoco dello Spirito per trasformare ciò che è brutto in ciò che è bello; ciò che è mostruoso in ciò che è un capolavoro; ciò che è menzogna farlo diventare verità; ciò che è male farlo diventare bene. È una scultura che dà i brividi, ma dice chiaramente il compito da svolgere, cioè che il fuoco dello Spirito non distrugge e non consuma, ma purifica e ravviva la vita. Si tratta di una scultura romanica strepitosa per il realismo ed il simbolismo che comunica: una emozione da brivido. Il fuoco è l’immagine di quel santo ardore che è dono del cielo, e che entrato nel cuore dei discepoli ne esce per comunicare al mondo una vitalità nuova e divina. Se parliamo mossi dallo Spirito, se ci comportiamo ispirati dallo Spirito, tutto quello che di divino e di santo Dio pone in noi, sarà da noi rivelato e comunicato al mondo. Noi siamo chiamati a replicare il miracolo delle lingue, per dire ovunque: – “Il dono dello Spirito sarà fatto a tutti, uno per uno, e per sempre“; sarà, cioè, un dono individuale e permanente. Noi siamo chiamati ed essere la Pentecoste oggi.

 

La Chiesa ha ancora bisogno dello Spirito

Paolo, scrivendo ai Corinzi, ricorda loro che la professione della fede, in parole ed in opere, è dono dello Spirito: “nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo”. Proprio per questa origine unica della fede, pure nello svariato numero delle sue espressioni, l’apostolo insiste tantissimo sul fatto che “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune”. S. Cirillo di Gerusalemme, uno dei Padri della Chiesa, per spiegare questo concetto usa un’immagine molto efficace: “L’acqua della pioggia discende dal cielo. Scende sempre allo stesso modo e forma, ma produce effetti multiformi. Altro è l’effetto prodotto nella palma, altro nella vite e così in tutte le cose, pur essendo sempre di un’unica natura e non potendo essere diversa da se stessa. La pioggia infatti non discende diversa, non cambia se stessa, ma si adatta alle esigenze degli esseri che la ricevono e diventa per ognuno di essi quel dono provvidenziale di cui abbisognano. Allo stesso modo anche lo Spirito Santo, pur essendo unico e di una sola forma e indivisibile, distribuisce ad ognuno la grazia come vuole”. Chiarissimo l’esempio: doni diversi da parte dello stesso dono. Lo Spirito fa questo miracolo. L’importante è che questa varietà e ricchezza abbia sempre lo stesso scopo: “per il bene comune”. Lo Spirito ci educa ad essere cristiani non isolati o contrapposti, ma cristiani dentro la Chiesa, nella fede della Chiesa, con la passione per l’unità della Chiesa, per il bene comune. Questa regola la raccomanderei non solo alla Chiesa, ma anche, per esempio, all’attività politica: lavorare tutti, tutti, per il bene comune … credo vedremmo autentici miracoli dentro la società.

 

Dove ci porta lo Spirito?

L’Evangelo di oggi ci risponde: ci porta a Pasqua, là dove tutto è cominciato. Abbiamo riascoltato il racconto della apparizione ai discepoli, dell’augurio di pienezza che Gesù fa ai suoi e della gioia di incontrare il Signore, la stessa, mi auguro, che viviamo noi in questo momento. Ma la gioia di Cristo non è una pacca sulla spalla, e neppure un party. È un incarico impegnativo: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. E noi potremmo obiettargli: “c’è una bella differenza tra te e noi, tra l’incarico conferito a te e quello affidato a noi: tu cammini sulle acque, tu moltiplichi i pani e i pesci, tu guarisci i malati, tu risusciti i morti, e noi abbiamo vissuto una pandemia che ha provocato più di 33.000 morti, ma non abbiamo saputo compiere i miracoli di guarigione come te!”. Ma Gesù incalza: “da soli non ce la fareste mai, per questo vi dico: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Non dovete farli voi i miracoli, li fa lo Spirito. In Lui potrete addirittura perdonare i peccati, o rifiutarvi di farlo; in Lui potrete combattere il male e vincerlo, in Lui supererete la paura della morte e saprete dare la vita come me”. Non l’abbiamo forse visto tutto questo, nei mesi appena trascorsi? Quanti medici, infermieri, personale, non hanno avuto paura di morire per mettersi al servizio di chi aveva bisogno! Quale segno più grande dello Spirito del “vincere la paura della morte per dare la vita e salvare i fratelli?”. E quale incitamento più grande dello Spirito vi è per continuare a combattere per vincere il male, soprattutto quello che si annida in noi, e che diventa un virus distruttivo per il mondo che ci sta attorno? Sottoponiamoci tutti a questo vaccino: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. Ricevere lo Spirito che perdona i peccati significa guarire dentro, e solo quando si è guariti dentro si può sanificare il mondo fuori di noi! Vorrei concludere ricordando a me stesso e a voi ciò che il patriarca Ignazio Laodicea, disse il 5 luglio del 1968, all’Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese a Uppsala in Svezia, per illustrare come lo Spirito trasforma la vita della Chiesa e di ogni credente: «Lo Spirito è la novità che opera nel mondo, è la presenza di Dio con noi e si “unisce al nostro spirito”. Senza lo Spirito, Dio è lontano, Cristo resta ne passato, l’Evangelo è lettera morta, la chiesa una semplice organizzazione, l’autorità dominio, la missione propaganda, il culto una semplice evocazione e l’agire umano una morale da schiavi. Ma nello Spirito, … , il cosmo si solleva e geme nelle doglie del regno e l’uomo lotta contro la carne, Cristo risorto è vicino a noi, l’evangelo diventa potenza di vita, la chiesa segno della comunione trinitaria, l’autorità servizio liberante, la missione una Pentecoste, la liturgia è memoria e anticipazione e l’agire umano è divinizzato». Ecco cosa fa lo Spirito in noi: ci divinizza. Quando tentiamo di farci Dio con le nostre mani, facilmente costruiamo dei mostri (la torre di Babele è il chiaro esempio). Quando lo Spirito ci divinizza, allora da qualsiasi bassezza possiamo raggiungere le vette più alte, non dico della spiritualità, ma della nostra umanità. Siamo fatti per le vette. Che lo Spirito ci conduca là dove è la nostra patria.