OmelieOmelie Giugno 2020

28 giugno 2020 – Tempo durante l’Anno XIII Domenica (anno A) – Don Samuele

Tempo durante l’Anno – XIII Domenica A – 28 giugno 2020

 

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

 

Dopo averci invitato a meditare Domenica scorsa sulla fiducia in Dio, anche nell’ora cruda della persecuzione; dopo averci invitati all’amore per la Verità, che va sempre gridata dai tetti, mai taciuta e mai nascosta; oggi la liturgia ci invita a meditare e a celebrare l’accoglienza di chi ci porta un segno o un messaggio di Dio. Quante volte ripetiamo nella preghiera le parole del salmo 117: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”, e se ci pensiamo bene, quanto sono vere! Chi viene nel nome del Signore può portare solo grazia e benedizione alle persone che incontra.

 

Un amore difficile

L’Evangelo di Matteo che oggi abbiamo ascoltato ci ha offerto inizialmente parole dure, quasi impossibili da mettere in pratica. Sarei tentato di dirvi: alzi la mano di tra noi è disposto a stare a queste condizioni: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà”. Proprio Tu, Signore, che ci hai dato il comandamento di amare persino i nemici, non ci lasci amare i nostri genitori ed i nostri figli!?! Mi metto nei panni di voi che siete papà e mamme, ma mi metto nei panni di tutti, perché tutti siamo figli di qualcuno. Questa è la prima reazione, la più istintiva. Ma se ci fermiamo un attimo a riflettere, ci accorgiamo subito che Gesù non ci ha chiesto di non amare le persone che amiamo di più, ma di fare ordine nei nostri affetti, perché spesso sono disordinati. Il primo e fondamentale amore della vita deve indirizzarsi a Dio, perché questo ci consente di amare veramente gli altri. Dove manca l’amore di Dio, infatti, l’amore per i figli può diventare possessività e pretesa che i figli siano la fotocopia dei genitori, con tutte le migliori intenzioni del mondo. Però quante volte accade di avere situazioni di oppressione … c’è un poeta indiano, Gibran, che ha scritto: “i vostri figli non sono vostri, sono figli del cielo!”; e l’amore per i genitori può divenire opportunismo e sfruttamento finché se ne ha bisogno, poi … l’amore di Dio fa chiarezza, determina una gerarchia, stabilisce delle priorità. Non è disumano quanto ci chiede Gesù, è la cosa più sensata e più necessaria. E da quando l’abbiamo dimenticata, la famiglia, che è il luogo naturale dell’amore, in Italia è diventata il luogo dove si muore di più per violenza. Stamattina ho provato brividi di commozione ascoltando il telegiornale e sentendo di un papà che disperato, a 45 anni, ha ucciso i suoi due figli, gemelli di 12 anni, e poi si è suicidato lui. Ho espresso una preghiera con il cuore per lui, peri suoi ragazzi, per tutti i familiari, pensando al dolore, alla tragedia, che stanno vivendo; ma poi sentivo anche il giornalista che continuava il servizio, e diceva che in Italia, statisticamente, ogni 55 minuti avviene un delitto in famiglia. Mi è venuta la pelle d’oca, e mi sono detto: ma il Vangelo di oggi non è per niente astratto, non è per niente distante dalla nostra vita, anzi, facessimo tesoro di questo Vangelo, chissà quanti cocci si aggiusterebbero dentro le nostre vite.  Se non si ama Dio non si possono amare né genitori né figli nella maniera giusta.

 

Accogliere Dio

Poi l’Evangelo si è fatto dolce, usando parole di grande tenerezza per chi accetta la chiamata di Dio a prestare la sua voce affinché la Parola risuoni, ancora. Così Giovanni Battista, la cui nascita abbiamo celebrato questa settimana, ha inteso la sua missione. Ecco allora Gesù che rincuora: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto. E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». È incredibile: l’uomo, i grandi uomini, vanno a pensare chissà quali grandi cose per esaltare se stessi, la loro famiglia, il loro gruppo o partito, la loro nazione, cosa non fa qualcuno per passare alla storia, e Dio, invece, dichiara la sua attenzione e la sua preoccupazione per solo un bicchiere di acqua fresca dato a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo. Dio è santo, cioè è differente, perché l’uomo guarda l’apparenza, e Lui guarda il cuore; l’uomo confida sugli strumenti di potenza, e Lui, con i bambini, “abbatte i potenti dai troni ed innalza gli umili”. Il Signore trova tutti i modi per far sentire la sua tenerezza e la sua Provvidenza.

 

Benedetto colui che viene nel nome del Signore

Da sempre è così, con solo con i discepoli del suo Figlio. La prima lettura di oggi ci ha portato indietro nel tempo, centinaia di anni prima di Cristo, per farci incontrare il profeta Eliseo, cha ha sperimentato la Provvidenza di Dio grazie ad “una donna facoltosa”, la Bibbia non ci ha detto neanche il nome di questa signora, e non una, ma “tutte le volte che passava” il profeta trovava ospitalità. Questa ignota benefattrice ha offerto un tetto, un pasto, un cuore al profeta di Dio, cioè a Dio stesso, e Dio, attraverso il suo profeta le ha fatto il dono più desiderabile per una donna ed una famiglia di quel tempo: un figlio. Dove l’uomo non poteva fare nulla, Dio può far tutto, perché Lui non si dimentica del bicchiere d’acqua dato a un piccolo, del pasto dato ad un affamato, dell’accoglienza offerta ad un pellegrino. Quante volte, da quel giorno, Dio ha offerto la sua Provvidenza a tanti sconosciuti, per i quali è stato detto: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. E quanto bene questi missionari del Vangelo hanno potuto realizzare a persone che magari avevano perso ogni speranza. Il bene che esce dalla porta entra dalla finestra, e viceversa, perché c’è sempre Dio in agguato, pronto a moltiplicarlo. Consapevoli e certi di questo, abbiamo ripetuto più volte: “Canterò per sempre la tua misericordia”.

 

Una grazia a caro prezzo

Se la Parola di Dio ci educa a questo senso si gratitudine per i piccoli gesti, a maggior ragione ci porta ad esprimere un grazie enorme per la grande opera della salvezza compiuta dal Signore Gesù. S. Paolo, nella seconda lettura ci ha ricordato che “quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. Lui è morto perché noi abbiamo la vita. Sono tutte cose che diamo per scontate, ma che, di tanto in tanto, è opportuno farle riaffiorare alla memoria per non dimenticarle. Oggi ci domandiamo due cose: le sappiamo ancora? Le approfondiamo ancora nella formazione dei ragazzi e soprattutto degli adulti? E, soprattutto, ci crediamo ancora a queste verità? Fanno parte del nostro bagaglio umano e religioso per affrontare il grande viaggio della vita? O rischiamo di svegliarci tutte le mattine, poiché siamo sempre di fretta, sempre di corsa, perché abbiamo sempre troppe cose da fare, per partire in quarta senza preoccuparci dell’attrezzatura, e così, ad un certo punto, ci ritroviamo senza più niente in cui credere, senza niente di veramente utile ed efficace da dire? In mezzo a tante futilità che riempiono gli occhi, la mente ed il cuore della gente. Tra tanti messaggi inutili che ci bombardano e ci stordiscono, ci sono ancora buone notizie da credere e da non tacere: “anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù”. Questa è la buona notizia che ci ricordava S. Paolo. Sì, perché alla fin fine, della vita cosa conta e cosa rimane? Gesù non ha paura di dirci come stanno veramente le cose: Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà. Si fa fatica a trovare chi ci crede ancora a queste cose, anche tra cristiani, ma che dico, a volte anche tra preti e religiosi si fa fatica a trovare chi crede a queste cose, ma vorrei dirlo a voce alta, vorrei che arrivasse fuori in piazza a quelli che magari in questo momento stanno pensando ad altro, sicuramente stanno pensando ad altro:  perdersi è il solo guadagno, donare dà più gioia che ricevere, non vi è amore più grande di chi dà la vita per chi ama. Sono tutte cose che possiamo capire solo dentro una comunità, una parrocchia, che questi valori li crede e li vive, li testimonia e così li insegna come la cosa più preziosa, li trasmette alle nuove generazioni, e li regala volentieri, convinta che, se non trasmette questi convincimenti, tira su solo dei poveretti. Voi perdonate la mia franchezza, ma dobbiamo dirlo che non è sufficiente volere semplicemente bene ai nostri ragazzi, è troppo poco, bisogna volere il loro bene: questo è essenziale. E quindi bisogna dirgli anche delle verità scomode, delle verità che li inquietano, delle verità che li fanno riflettere, delle verità che gli impediscono di essere eterni adolescenti, che giocano fino a 90 anni. Auguro a tutti la gloria e la gioia di sentirsi e di essere quella “stirpe eletta, quel sacerdozio regale, quella nazione santa; che proclama le grandezze di Dio, il quale ci ha chiamato dalle tenebre all’ammirabile sua luce. Alleluia.