OmelieOmelie Ottobre 2020

4 Ottobre 2020 – Tempo durante l’Anno XXVII Domenica (anno A) – Don Samuele

Tempo durante l’Anno – XXVII Domenica A – 4 ottobre 2020 – Solennità della Dedicazione delle nostre chiese

 

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

 

In questa Domenica abbiamo sentito risuonare un canto di amore stranissimo: per una vigna. Cosa strana: è come se noi ci mettessimo a cantare un canto d’amore al nostro orto o al nostro frutteto: i nostri vicini di casa chiamano il 118 e ci fanno ricoverare al neuropsichiatrico, perché chi canta d’amore per un orto? Sarebbe cosa davvero insolita, per chi abita nella pianura padana, dove la terra, basta accarezzarla, e ti dà qualsiasi tipo di frutto. Ma per chi vive in un territorio desertico o quasi, dove, magari, passano tre anni tra uno scroscio di pioggia e l’altro, dove trovare frutta fresca, spesso, è un miraggio, avere una vigna che ti dà grappoli d’uva giganti, e ti consente di avere un vino prelibato sulla tavola, è un colpo di fortuna. Altroché se canti di gioia!!!

 

Amore per la vigna d’Israele

Ecco che l’amico Isaia, intona il canto con cui, poeticamente, Dio dichiara il suo amore per Israele, sua vigna, racconta la cura e la dedizione, il tempo ed il cuore che vi ha dedicato, e constata l’inutilità di tutto, perché di frutti non ne sono arrivati. Il che secca parecchio il Signore, che minaccia la rovina della vigna e la sua riduzione a una steppa incolta e desolata, sulla quale mai più si riversa la cura e la dedizione, il tempo ed il cuore di Dio. E la minaccia diventa giudizio: “la vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi”. Lo sforzo educativo ed amorevole di Dio è stato inutile, tempo perso, fatica sprecata: la vigna non ha voluto Dio come ospite amato, anzi, come sposo. Che cosa le rimarrà? Lo ha proclamato il salmo: “La devasta il cinghiale del bosco e vi pascolano le bestie della campagna”. Non più la compagnia di Dio, ma quella delle bestie, non più l’amore di Dio, ma la riduzione dalla condizione divina a quella animalesca. È una storia vecchia come il mondo: quando il libro della Genesi ci racconta il primo peccato di Adamo ed Eva, anche loro hanno avuto questa alternativa. Preferire la compagnia di Dio, o preferire la compagnia del serpente? Tutti sappiamo cosa hanno scelto. Terribile sorte, che si è verificata tutte le volte che, nella storia, il popolo di Dio ha abbandonato il suo Dio per abbracciare idoli mostruosi. È esattamente la fotografia di quanto accade nel mondo oggi, là dove il popolo di Dio abbandona il suo Dio per abbracciare idoli mostruosi. La sua compagnia, il suo sposo, non è più il Signore, ma la bestialità. Mi auguro che tante persone, che l’intera società, aprano gli occhi, vedano l’autolesionismo che ci sta massacrando, comprendano il male che ci stiamo facendo con le nostre mani, si accorgano della miseria umana che ci stiamo costruendo, e che tutti abbiamo il coraggio di tornare a pregare così, come il salmo ci ha messo sulla bocca e nel cuore: “Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato, il figlio dell’uomo che per te hai reso forte. Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome. Signore, Dio degli eserciti, fa’ che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi”.

 

Amore che diventa passione educativa

È lo scopo dell’anno catechistico che oggi iniziamo: cercare il Signore, costruire amicizia con il Signore, perché, senza di Lui, questa vigna che siamo noi – e potrebbe dare frutti speciali -, non dà niente! Diventa pascolo per i cinghiali. E quante volte io come sacerdote, e chissà quante catechiste, ma anche chissà quanti papà e mamme, e chissà quanti insegnanti, ma il mio tempo, la mia fatica … tempo sprecato, fatica inutile, non ottengo niente! Non raccolgo niente di tutte le mie fatiche educative. Se fossimo semplicemente esseri umani il ragionamento fila, ma noi siamo figli di Dio, noi abbiamo la certezza, perché abbiamo la fede, che, nonostante tutto possa remare contro, il desiderio di Dio, di educare il suo popolo, è più forte di ogni resistenza, di ogni incaglio, di ogni opposizione, per cui, se anche un anno catechistico servisse ad accendere una luce nell’anima di una persona, a far brillare il cuore di qualcuno, sarebbe già un successo.

 

Gesù e la vigna di Israele e della Chiesa

Questa convinzione emerge anche dalle parole di Gesù, nella parabola di oggi, nelle quali troviamo la stessa immagine suggerita da Isaia, assai familiare agli ebrei che si recavano al tempio di Gerusalemme, dove, non potendo disegnare o scolpire immagini, gli ornamenti erano simbolici, e sulla fronte del tempio campeggiava proprio una vigna, simbolo eloquente di Israele. La parabola parla di Dio Padre, sapiente agricoltore nella vigna del popolo eletto, Colui che “la diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto”. Questi servi sono i profeti, dediti a far fruttificare la santa vigna “Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono”. Dei profeti non ce n’è uno morto di vecchiaia nel suo letto: tutti hanno fatto una brutta fine. E, quando il Padre, stanco di intermediari, “mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. … i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero”. Ladri e assassini! Stolti ed ingenui, come se una serie di delitti di tale portata potesse restare impunita. Gli interlocutori stessi di Gesù, che, tra l’altro, sono i protagonisti ladri e assassini della parabola, emettono la sentenza: “Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo”.

 

Il Figlio cacciato, la pietra su cui ancora e sempre edificare

Il Figlio che essi hanno preso, cacciato fuori dalla vigna e ucciso, è la pietra sulla quale si costruisce e senza la quale tutto crolla. Qui Gesù dà un giudizio pesante: sia chiaro a tutti gli Israeliti che “a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”. Questo popolo che produce frutto abbiamo l’ambizione di credere che è la Chiesa, ma non siamo tanto superbi da credere che noi siamo i migliori, perché anche per la Chiesa vale lo stesso monito di Gesù: “a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”. Quanto annunziato 2000 anni fa noi lo stiamo già vedendo oggi: l’Europa, che per secoli è stata la culla naturale del cristianesimo, sta diventando il deserto del cristianesimo, mentre i continenti che abbiamo sempre chiamato con un complesso di superiorità terre di missione, o terzo mondo, rivelano una apertura a Cristo ed al Vangelo, una gioia di essere Chiesa, che noi in Europa abbiamo completamente dimenticato. Molta parte del popolo di Dio in occidente irride e deride i valori della sua fede. Molti ritengono un avanzamento sociale l’avere buttato alle ortiche un patrimonio religioso di una altezza ineguagliabile, per inseguire surrogati miserabili. Troppa gente in occidente baratta Dio con vere e proprie patacche; ne bestemmia l’amore ed i segni; dissacra il giorno del Signore; molti lavorano alacremente per la distruzione della famiglia, della vita, della dignità della persona; molti rapinano cose, e, soprattutto derubano le coscienze della verità; molti desiderano ciò che non è desiderabile, e non hanno più alcuna nostalgia per ciò che è sacro e santo. Un sociologo di fama internazionale, il Prof. Introvigne, mi ha confidato che tra alcuni anni il paese con il più alto numero di cattolici nel mondo, sapete quale sarà? Non il Vaticano, ma la Cina, la Cina di Mao Zedong, dove per decenni vi è stata una dittatura disumana, dove per decenni vescovi, sacerdoti e fedeli sono stati messi in galera, torturati barbaramente perché cristiani, dove la Chiesa è perseguitata e ridotta alle catacombe, e, guarda caso, nel 2000 si verifica quanto descriveva Tertulliano più di 1.500 anni fa: “Sanguis martyrum, semen christianorum”.  Non dobbiamo preoccuparci di questo giudizio di Cristo: “a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”? penso proprio di sì.

 

Festa per la Dedicazione della chiesa edificio

Ma non voglio assolutamente angustiarvi, oggi è un giorno di festa, piuttosto vorrei riaccendere la speranza nei vostri cuori, che, anche da un piccolissimo seme può nascere un grande albero, da una minuscola scintilla che si accende nel cuore di ognuno di noi può derivare un grande fuoco, da un solo cristiano vero può scaturire una generazione che cerca il volto del Signore. Questo è la Chiesa. Noi oggi celebriamo con gioia la solennità della Dedicazione di tutte le nostre Chiese, il giorno sacro in cui in Vescovo ha unto con il Crisma, dentro e fuori, questi edifici, li ha sottratti all’uso profano, e li ha dedicati al culto di Dio. Quello che in quel lontano giorno è accaduto a queste costruzioni di pietra, deve accadere quotidianamente a ciascun battezzato ed all’intera comunità cristiana; essere sottratti all’uso profano per essere dedicati al culto di Dio. Le nostre chiese devono tornare ad essere luoghi dove il profumo del sacro lo si respira e lo si custodisce, dove la presenza di Dio la si avverte e la si tocca con mano, dove il Mistero è di casa, per il silenzio ed il rispetto di una presenza massiccia di Dio. Noi non siamo protestanti, le cui chiese hanno il senso del vuoto: noi siamo cattolici, crediamo che nel tabernacolo vi è il corpo e sangue, l’anima e la divinità di nostro Signore Gesù Cristo. Non è che prima della Messa e dopo la Messa Gesù Cristo scompare e noi facciamo mercato. Se così fosse significa che noi non ci crediamo più che lì c’è il Signore. Non dimentichiamocelo mai, ed esprimiamo con il nostro contegno religioso questa fede: credo che lì c’è Dio. I nostri vecchi sapienti avevano fatto grandi sagrati davanti alle chiese, dove la gente familiarizzava, se la contava, contrattava, vendeva, comprava, faceva festa, ballava, ma la chiesa è il luogo del Dio con noi, dell’essere alla sua presenza.

 

Festa per la Dedicazione della chiesa vivente nelle persone e nella comunità

E quello che accade in chiesa, in altri modi appropriati deve accadere nella vita: noi siamo il tempio vivente di Dio, la casa e la dimora del Signore tra gli uomini, e quindi la nostra vita non può essere vissuta come se Dio non ci fosse, ma costantemente alla presenza del Signore, che non vuole cose, ma desidera il nostro cuore, come ci regala il suo. S. Paolo, nella seconda lettura ci ha offerto alcune indicazioni preziose su come fare: “quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!”. Quanta luce, quanta verità, quanta dolcezza, in queste esortazioni, quanta sapienza e quanta umanità. Ma se noi andiamo a vedere cosa scrivono sui social … una accozzaglia di idiozie una peggio dell’altra. Ma è questo che abita i pensieri e i cuori dei cristiani, della gente? Ma è questa pattumiera costantemente aperta da cui esce … non diciamo che cosa! S. Paolo ci dice chiaramente che cosa deve abitare la mente ed il cuore. Si tratta di cosa accessibile a tutti, possibile a tutti. Quanta luce, quanta dolcezza c’è in questo. Vi invito a richiedere tutto ciò in dono, con le parole accorate di una martire di un mondo di orrore, perché senza Dio, quale è stato il nazismo, un mondo senza Dio, parlo di S. Edith Stein, che scrive: “Chi sei tu, dolce luce, che mi riempie, e rischiara l’oscurità del mio cuore? Tu mi guidi con mano materna, e se Tu mi abbandonassi, non saprei fare più nessun passo. Tu sei lo spazio che circonda il mio essere e lo racchiude in sé. Da te lasciato, cadrebbe nell’abisso del nulla, dal quale tu l’hai elevato alla luce. Tu, più vicino a me di me stessa, e più intimo del mio intimo, e tuttavia inafferrabile e incomprensibile, Tu che oltrepassi ogni nome: Tu, amore eterno!