OmelieOmelie Ottobre 2020

18 Ottobre 2020 – Tempo durante l’Anno XXIX Domenica (anno A) – Don Samuele

Tempo durante l’Anno – XXIX Domenica A – 18 ottobre 2020

 

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

 

Ottima sintesi, per inquadrare il problema, quella che Gesù fa alla conclusione della pagina evangelica odierna: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Con essa il Signore dichiara in quali termini sta la giustizia divina ed umana, ma, nello stesso tempo rende relativo uno dei mostri che hanno riempito di orrore la storia: il potere.

 

Dio fa e conduce la storia da protagonista

Se vogliamo fare un passo alla volta dobbiamo partire da lontano, sempre da quel maestro di vita che è Isaia. Attraverso la sua bocca profetica il Signore osa chiamare “suo eletto” un Re che non era certamente ebreo, ma un persiano. Ma come? Un pagano che è un eletto? Sì, proprio attraverso di lui, gli ebrei, esiliati in Babilonia saranno ricondotti liberi in patria. Il Signore lo ha reso potente, e di fronte a lui nessun portone resterà chiuso. Dio, però resta l’unico Signore della storia, esiste solo lui al di sopra di tutti i grandi della terra. Occorre riconoscerlo! Ed, invece, spesso gli uomini sono attratti da personaggi emergenti, dalla scienza, alla storia; dalla genialità nel lavoro o nell’arte, dallo sport alla musica, dallo spettacolo all’informazione. Tutti noi ammiriamo sinceramente personaggi che compiono imprese memorabili e coraggiose, ma facilmente ci dimentichiamo del Signore che ha creato l’universo per noi, ce l’ha donato per la nostra felicità e ha concesso a grandi uomini intelligenza e cuore per condurre positivamente il corso della storia. Ecco che il profeta Isaia ci ricorda che è lui che dobbiamo ringraziare per tutto quello che possediamo, per i carismi di ognuno, per le capacità personali che lui ci ha dato, e quindi ricordare sempre che Dio è l’unico Signore del mondo. Sottomettersi a qualsiasi vip umilia e schiaccia la nostra dignità; credere e sottomettersi al Dio del cielo e della terra esalta la nostra dignità ed è il presupposto della nostra libertà. E quando disperiamo di poter vedere garantita la nostra dignità e la nostra libertà quel “Dio nascosto”, sempre trova un profeta da far parlare, per garantire una restaurazione splendida e meravigliosa: Gerusalemme ridiventerà il centro dell’universo, la Chiesa ridiventerà il centro dell’universo, l’uomo e la sua dignità ridiventerà il centro dell’universo. Noi, popolo di Dio, oggi abbiamo lo stesso compito di Israele: mantenere desta questa fiducia e questa fedeltà. Facile a dirsi, ma Dio trova ancora questa fede nel cuore dei suoi figli? Dio trova ancora questa fede incrollabile nella Chiesa sua sposa? Ogni persona, ogni famiglia, nella coscienza d’Israele, sono la cellula viva del popolo che custodisce le promesse di Dio, che educa i figli alla Legge del Signore e che deve affrontare i tempi della storia con la stessa speranza nel Signore. Nel momento del benessere, bisogna vivere con responsabilità e rispettare la Legge del Signore che Egli ha consegnato come segno di amore per il suo popolo. Nel tempo della difficoltà e della fatica, anche quando ci sentiamo abbandonati, va coltivata la fede, e ripresa con chiarezza e coraggio la propria responsabilità nell’operare, sapendo con certezza che il Signore è “solo nascosto“, ma vivo e presente. Nella stagione della tentazione, quando tutto vuole farci credere che si può vivere come se Dio non ci fosse, che tutto sommato si sta meglio senza di Lui, proprio allora il rafforzare la fede significa trovare l’arma giusta per vincere non semplicemente una battaglia, ma la guerra perché trionfi la verità ed il bene. Lasciamoci educare da Isaia

 

Il credente ed il potere

Un passo ulteriore ce lo chiede Gesù: di fronte allo squallore di una domanda postagli non per amore di verità, o per il riconoscimento della trasparenza e della coerenza di Cristo, ma solo “per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi”, Gesù ne approfitta per una lezione di umanità e di fede, altissima. In maniera lapidaria e brillante, Gesù espone il principio fondamentale della relazione del cristiano nei confronti dell’autorità civile: chi crede non è dispensato dall’obbedienza nei confronti dell’autorità civile in tutta la sfera delle relazioni politiche e sociali, anzi, riconosce la legittima autonomia di queste ultime. Grandi politici cristiani come De Gasperi hanno testimoniato questo, ne stiamo parlando all’Università della terza età in questi mesi. Questo patrimonio ideale lo svilupperà S. Paolo nella lettera ai Romani, quando afferma: “Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite, infatti non c’è autorità se non da Dio”. Sì, usa proprio un verbo che terrorizza il nostro tempo: “stare sottomessi” non tanto per timore della punizione, quanto per ragioni di coscienza. Siccome quelli che svolgono il compito dell’autorità sono al servizio di Dio … mi correggo: “dovrebbero essere”, allora è logica la conseguenza: rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto; a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto. Scendiamo più al concreto: un cristiano che evade le tasse per profitto, che infrange il codice della strada mettendo a rischio la vita propria e quella degli altri, che fa lavorare delle persone in nero per ingordigia, che utilizza un ruolo pubblico in politica, nell’amministrazione, nella gerarchia della Chiesa, a proprio vantaggio, non commette solo un reato dal punto di vista civile e penale, ma pecca contro il Signore, perché ogni autorità è stabilita da Dio per il servizio e per il bene del suo popolo.


Servire Dio da figli

L’ultimo gradino di questo crescendo è la pretesa divina di rendere a Dio quello che è di Dio con la stessa equità con cui si dà all’uomo quanto è umano, e qui le cose si complicano. Certo, perché qui viene richiesta una conversione radicale di mentalità e di stile di vita. Quando parliamo di Dio, infatti, non parliamo di una cosa qualsiasi tra tante, di un appuntamento uguale a quelli che intasano le nostre agende, ma ci riferiamo a Colui dal quale veniamo e al quale andiamo, Colui nel quale viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, Colui che è morto per noi e per la nostra salvezza e al quale dobbiamo tutto. Sii onesto con te stesso: “che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto dal Signore? E se l’hai ricevuto dal Signore, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?”. La relazione con l’autorità civile può essere quantificata, essere espressa in termini di dare e avere in una cartella esattoriale. In cambio lo stato assicura una società dove esiste, nella misura del possibile, un certo ordine, una certa pace, una certa giustizia, garantisce alcuni servizi come l’educazione, i trasporti, la salute e in compenso richiede il compimento di alcuni doveri – limitati e misurabili – come per esempio il pagamento delle tasse. “Do ut des”: è il principio del commercio. Non funziona così con le persone che amiamo, con Dio. La regola qui è un’altra: “Il Signore Dio nostro è l’unico Dio. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze”. Al Signore dobbiamo dare tutto, quello che abbiamo e più ancora quello che siamo, perché comunque viene da lui, gli appartiene. E se non gli diamo tutto non gli diamo niente: è una regola sacra degli innamorati. Nella relazione con Lui siamo chiamati ad abbandonare la logica mercantile o servile: “Non vi chiamo più servi – ci ha detto Gesù – perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio ve l’ho fatto conoscere”. Se non entriamo in questa logica non saremo mai figli, ma resteremo sempre e solo servi. Pensate al secondo figlio della parabola del figliol prodigo, quando dice al padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando”. Ha dato al padre obbedienza, rispetto, lealtà, servizio come li si dà a Cesare, ma questo gli ha impedito di accedere ad una relazione autentica con lui. Si è comportato con lui come un servo leale, non come un figlio e per questo non capisce la gioia del padre per il fratello ritornato a casa e non riesce a condividerla. Ci credi e ci stai a convertire la tua relazione con Dio? A non guardarlo come guardi Cesare ma come guardi il padre con la P maiuscola? Dai pure a Cesare come si dà a Cesare, in termini di dare e avere, ma dai a Dio come si dà al Signore, come si dà ad un padre! Deve cambiare il cuore. La relazione filiale con il Padre ci invita ad andare oltre la logica di una giustizia meramente umana. Il Padre dice anche a noi: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio, è tuo, ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è ritornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Non si darà mai a Cesare con gioia, ma sempre per dovere, per obbligo: chi di voi paga le tasse con entusiasmo e con esultanza? Al Signore, invece, con gioia, per amore, liberamente, siamo chiamati a rendere grazie, ad offrire i nostri corpi come sacrificio vivente, santo e a lui gradito. A Dio diamo con gioia, non perché ci dia qualcosa, ma perché ci ha già dato tutto. Diamo non per dovere, ma per amore. Diamo per gioia. Diamo per entrare nella sua gioia.