20 dicembre 2020 – IV Domenica dell’anno liturgico B – Don Samuele
Tempo di Avvento – IV Domenica dell’anno liturgico B
20 dicembre 2020
Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.
Eccoci alla Domenica che precede il Natale, e come quando la nascita di un
bambino si fa prossima, si provvede al necessario: si prepara un ambiente adatto, si
cercano le persone giuste, gli strumenti opportuni, vestito e nutrimento … la tentazione è
quella di far trovare a Gesù una di quelle case che la pubblicità ci mette davanti agli occhi:
tutte scintillanti di luci dentro e fuori, un mega albero, tanti pacchetti, il caminetto acceso …
è anche romantico. Ma Dio non sa cosa farsene di questo tipo di Natale.
Una casa per Dio o per l’uomo?
È lo stesso rischio che ha corso il Re Davide, come ci narrava la prima lettura:
preparare una casa a Dio, preoccupati come siamo di dargli una casa, non tanto per
ospitare colui che il cielo e la terra non possono contenere, quanto, piuttosto per sapere
dove trovarlo in qualsiasi momento, per porgli le nostre domande, per sottoporgli i nostri
problemi, per chiedere o per pretendere il suo intervento risolutivo dei nostri guai e delle
sciocchezze che combiniamo noi. Il Re Davide voleva dare a Dio una casa o piuttosto
metterlo agli “arresti domiciliari”? Voleva essere lui a disposizione di Dio o avere Dio a
disposizione di sé? Voleva dare un tetto a Dio o passare alla storia come il protagonista
della edificazione di un capolavoro? Persino il profeta Natan la pensava come lui: “fai
quello che hai nel cuore”. Dio, però, ha corretto il tiro: non è l’uomo che fa una casa a Dio,
ma è Dio che dà una terra ed una casa all’uomo. E Natan è costretto a tornare dal Re per
dirgli: “Il Signore ti annuncia che farà a te una casa”. Capiamo bene queste parole: le case
umane si costruiscono e crollano per un terremoto, per una guerra, per un incendio. Dio
non prepara a Davide una casa destinata a crollare, ma un casato che sfiderà i secoli: “io
susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo
regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio”. Ecco ciò che non crolla e non
crollerà mai: una relazione con Dio, una familiarità, per cui l’uomo – che è mortale – verrà
elevato al rango di Dio – che è immortale –. E la casa destinata a crollare resterà in piedi
in eterno. Sì, perché costruire sull’uomo significa assistere alla fine delle cose; costruire su
Dio significa raggiungere il fine, lo scopo, la meta, che è l’eternità. La stessa identica
dinamica la cogliamo nella nostra vita e nella nostra società, dove Dio viene usato per gli
scopi più disparati, ma difficilmente riusciamo ad entrare nella logica che sia Lui a
costruire l’edificio sociale, anzi, sembra quasi che l’Occidente stia facendo di tutto per
demolire tutto quell’insieme di norme, di regole, di consuetudini, di stili di vita che il
cristianesimo ha edificato per 2000 anni. Noi cristiani siamo oggi chiamati a sostituire il
profeta Natan, per ricordare al mondo che si serve di Dio, che Dio ci serve, senza che noi
lo trattiamo da maggiordomo, e lo fa per amore, e ripete a noi ciò che disse a Davide: “Il
Signore ti annuncia che farà a te una casa”.
Il Mistero cui obbedire
Si tratta di entrare in questo Mistero come si entra dentro ad una casa. E Paolo,
nella seconda lettura, ci ha anche rivelato i contenuti di questo “Mistero”, che è stato
“avvolto nel silenzio per secoli eterni”, avvolto perché il cuore dell’uomo non era ancora in
grado di comprenderlo e di entrarvi, di ammirarlo e di amarlo. Gradualmente Dio lo ha
“manifestato mediante le scritture dei Profeti”, e, attraverso la Chiesa, lo ha “annunciato a
tutte le genti”. Attenzione, però, non è come una sorta di telegiornale che informa tutti, ma
lo svelamento di questo Mistero ha uno scopo ben preciso, e lo diceva Paolo nella lettura
di oggi: che tutti “giungano all’obbedienza della fede”. E qui perdiamo i pezzi, perché
quando si tocca il tasto obbedienza, quanti non ne vogliono sentire parlare. L’obbedienza
della fede è la più grande libertà dell’uomo, è la più grande realizzazione dell’uomo, è il
conseguimento della più grande dignità, è il raggiungimento della perfezione, perché
riscatta la disobbedienza di Adamo ed Eva e della storia infinita di milioni di uomini e
donne che hanno fatto della disobbedienza lo stile della loro vita, e, re-introduce nel
mondo la gioia e la grazia di vivere come alle origini secondo il progetto di Dio. E quale è
questo progetto? Dio non il nemico della nostra libertà, non l’antagonista della nostra
umanità, ma Colui di cui siamo immagine e somiglianza, e noi diventiamo veramente e
pienamente uomini e donne nella misura in cui viviamo l’essere immagine e somiglianza di
Dio. “È il momento dell’obbedienza libera, umile e insieme magnanima, nella quale si
realizza la decisione più elevata della libertà umana” (Benedetto XVI). Questa è la casa
che siamo chiamati a vivere e ad abitare, e che ha una regola di vita, raccontataci da S.
Paolo al termine della lettura di oggi, è quella di dare gloria a Dio, e che possiamo
riassumere con le tre parole con cui J.S. Bach, il più straordinario musicista di tutti i tempi,
concludeva tutte le sue meravigliose composizioni: Soli Deo gloria. Solo a Dio va la gloria.
Maria, elogio vivente dell’obbedienza
Alla luce di queste considerazioni siamo tornati a leggere oggi la pagina
dell’Annunciazione, già risuonata nella festa dell’Immacolata. L’annunzio dell’angelo è
pure il dono di una presenza fortemente radicata nella vita di Maria: “il Signore è con te”. È
un augurio ed è una realtà. Proprio perché è con te, Dio può dire di te: “hai trovato grazia
presso Dio”. Anche a te Dio prepara una casa come a Davide, tuo antenato. E, a Maria,
l’angelo fa la stessa promessa che il profeta aveva fatto al Re Davide: “il Signore Dio gli
darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo
regno non avrà fine”. Non tanto una casa di pietre, quanto un casato è il dono di Dio, una
discendenza più numerosa delle stelle del cielo e della sabbia del mare. La fine non ci
sarà mai, perché ci sarà il fine raggiunto: la divinizzazione dell’uomo, quella realtà cui
l’uomo aveva rinunziato con il peccato delle origini e della storia ininterrotta. Questa umile
donna, Maria di Nazaret, si trova davanti un progetto che farebbe tremare le vene a
chiunque, che darebbe le vertigini anche alle persone più ambiziose, e l’obiezione che lei
avanza non è sulla potenza di Dio, ma sulla sua condizione umana: “non conosco uomo”,
cioè, “non ho relazioni tali che consentano la nascita di un figlio”. Come fa un figlio a
nascere da una vergine? E l’angelo la rassicura sul fatto che l’opera prima e principale non
è dell’uomo, ma di Dio: “colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio”, ed il
commento finale è una proclamazione solenne di fede: “nulla è impossibile a Dio”. Se Dio
ha creato il cielo e la terra, il sole, la luna e le stelle, il mare e le montagne, gli animali e
l’uomo; se Dio ha liberato un popolo dalla schiavitù dell’Egitto e gli ha donato la terra dove
scorre latte e miele, non sarà forse in grado di restituire all’uomo ciò che l’uomo ha gettato
alle ortiche? “Nulla è impossibile a Dio!”. Ed ecco, che quell’”obbedienza delle fede” di cui
ci parlava S. Paolo, come obiettivo da raggiungere tutti, Maria lo ha già raggiunto e lo ha
felicemente vissuto: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”.
“Dopo il fallimento dei progenitori, tutto il mondo è oscurato, sotto il dominio della morte.
Ora Dio cerca un nuovo ingresso nel mondo. Bussa alla porta di Maria. Ha bisogno della
libertà umana. Non può redimere l’uomo, creato libero, senza un libero «sì» alla
sua volontà” (Benedetto XVI). Vorrei tessere l’elogio di questa obbedienza della fede, e
ricorro alle parole di Benedetto XVI, raccolte da una sua omelia: “Bisogna obbedire a Dio,
anziché agli uomini. La risposta di san Pietro al Sinedrio è quasi fino ad verbum identica
alla risposta di Socrate al giudizio nel tribunale di Atene. Il tribunale gli offre la libertà, …, a
condizione però che non continui a ricercare Dio. Ma cercare Dio, la ricerca di Dio è per lui
un mandato superiore, viene da Dio stesso. E una libertà comprata con la rinuncia al
cammino verso Dio non sarebbe più libertà. Quindi deve obbedire non a questi giudici –
non deve comprare la sua vita perdendo se stesso – ma deve obbedire a Dio.
L'obbedienza a Dio ha il primato. Qui è importante sottolineare che si tratta di obbedienza
e che è proprio l'obbedienza che dà libertà. Il tempo moderno ha parlato della liberazione
dell'uomo, della sua piena autonomia, quindi anche della liberazione dall'obbedienza a
Dio. L'obbedienza non dovrebbe più esserci, l'uomo è libero, è autonomo: nient'altro. Ma
questa autonomia è una menzogna: …, perché l'uomo non esiste da se stesso e per se
stesso, ed è anche una menzogna politica e pratica, perché la collaborazione, la
condivisione della libertà è necessaria. E se Dio non esiste, se Dio non è un'istanza
accessibile all'uomo, rimane come suprema istanza solo il consenso della maggioranza.
(Parentesi: lo sappiamo tutti che il consenso della maggioranza produce dei crimini come
l’aborto, ha prodotto dei crimini come le leggi razziali … col consenso della maggioranza).
Continua il Papa: “Di conseguenza, il consenso della maggioranza diventa l'ultima parola
alla quale dobbiamo obbedire. E questo consenso — lo sappiamo dalla storia del secolo
scorso — può essere anche un “consenso nel male”. Così vediamo che la cosiddetta
autonomia non libera veramente l'uomo. L'obbedienza verso Dio è la libertà, perché è la
verità, è l'istanza che si pone di fronte a tutte le istanze umane. Nella storia dell'umanità
queste parole di Pietro e di Socrate sono il vero faro della liberazione dell'uomo, che sa
vedere Dio e, in nome di Dio, può e deve obbedire non tanto agli uomini, ma a Lui e
liberarsi, così, dal positivismo dell'obbedienza umana. Le dittature sono state sempre
contro questa obbedienza a Dio. La dittatura nazista, come quella marxista, non possono
accettare un Dio che sia al di sopra del potere ideologico; e la libertà dei martiri, che
riconoscono Dio, proprio nell’obbedienza al potere divino, è sempre l'atto di liberazione nel
quale giunge a noi la libertà di Cristo”. Parole splendide, soprattutto questo riferimento a
Socrate che non era cristiano, ma secoli prima di Cristo aveva capito che se perdeva Dio
perdeva se stesso, e se non trovava Dio non trovava se stesso e la sua libertà. Siamo
chiamati nei giorni che precedono il Natale ad occuparci non tanto di chincaglierie, ma a
ritrovare queste dimensioni forti della nostra vita, della nostra fede, della nostra umanità.
Vi auguro, in questo Natale, di riscoprire questa gioia di obbedire al Signore, e di trovare in
Lui la nostra libertà, la nostra realizzazione, la nostra felicità. Allora, davvero, che buon
Natale sarà per tutti.