Letture

Lettera del parroco a chi si merita un grazie enorme

Carissimi medici, infermieri, volontari, amministratori, confratelli sacerdoti, e tutti coloro che si meritano un gigantesco grazie, per la dedizione dimostrata durante il tempo doloroso del coronavirus: vi scrivo attraverso il sito della Parrocchia perché siete innumerevoli, ed io non sono pratico di gruppi WhatsApp, un po’ più di comunità. Vorrei parlare, oltre che a nome mio, anche a nome della mia comunità, che, spero, si associ volentieri al mio dire.

Anche a rischio di sembrare banale, voglio dirvi un sincero e smisurato GRAZIE. Lo sappiamo tutti di vivere in una stagione dove ringraziare non è di moda, perché molti ritengono che tutto sia da pretendere, che tutto sia dovuto, che la gratuità sia roba di tempi cavallereschi che oggi non esistono più, se non nei romanzi dell’amor cortese …

Ed, invece, il grazie, esiste ancora, ed è necessario, e lo avere dimostrato voi, con la vostra abnegazione: avete pronunziato così il vostro grazie alla vita ed a tutte le meraviglie che essa ci offre in dono. Lo avete pronunziato con i fatti, prima che con le parole, attestando di saper rinunziare al bene più prezioso che abbiamo, affinché esso si moltiplicasse da voi in coloro che hanno beneficiato della vostra competenza professionale, della vostra cura, e, soprattutto, della vostra umanità.

Per non restare nel vago, penso alle decine di medici, alcuni rientrati in servizio dalla pensione, altri buttatisi nella mischia freschi di laurea e ancora senza esperienza, voi che avete combattuto, senza armi adeguate e sufficienti, un nemico invisibile e terribile. Penso alle centinaia di infermieri, che hanno sostenuto turni di lavoro disumani, portando sul volto i segni delle mascherine, e rappresentati da quella vostra collega dell’ospedale di Cremona, fotografata addormentata sul computer, sfinita per la stanchezza. Penso a tutti quei volontari, che avrebbero potuto benissimo dedicarsi ad attività più protette, ed, invece, hanno sfidato il contagio, e ne sono stati sopraffatti. Penso ai tantissimi amministratori, che non hanno risparmiato tempo, fatica, presenza, e che le tante interviste televisive di queste settimane ci hanno raccontato come umili eroi. Penso alle decine di sacerdoti cresciuti alla scuola di grandi santi che hanno voluto donare la vita, come i due legati alle nostre terre gonzaghesche: S. Carlo Borromeo (morto a 46 anni consumato dalle fatiche) e S. Luigi Gonzaga (morto a 23 per soccorrere gli appestati a Roma), e che hanno messo in pratica l’insegnamento di Gesù: “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.  Così ha fatto il parroco di Casnigo: i suoi parrocchiani hanno fatto una colletta per comprargli un respiratore, lui lo ha donato ad ammalati più gravi dell’ospedale di Bergamo, ed è morto. E chissà quante altre persone meritano il nostro grazie: qui non è possibile elencarle tutte, ma il ricordo grato è per tutti.

A tutti voi vorrei dire: non avete sprecato inutilmente la vostra vita. Avete dimostrato che vi è una umanità nobile, che tanto dissesto morale e spirituale, non è ancora riuscito, per grazia di Dio, a distruggere il patrimonio di umanità costruito nei secoli. Avete dimostrato che vi sono sentimenti e valori tanto radicati da produrre ancora frutto. A voi si può tranquillamente applicare quell’immagine che il Signore ha accostato a sé – la troviamo nel capitolo 12 di Giovanni –. A quelli che volevano vederlo, Gesù rispose: «E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà». Anche voi avete trovato la vostra gloria non nell’esaltarvi, ma nel donarvi. Anche voi avete scelto di essere chicco di frumento che muore per produrre molto frutto. Anche voi avete dimostrato di amare la vostra vita perdendola. Anche voi avete seguito il Signore nella via del servizio, ed ora il Padre vi onora. Spero lo faccia adeguatamente anche l’umanità.

Assieme alla ammirazione e alla gratitudine permettetemi di esprimere una mia convinzione. Se ci domandiamo: “perché gli italiani sono tanto generosi? Perché quando si presenta il Telethon, o un terremoto, o una alluvione, o una emergenza umanitaria, gli italiani sanno donare cifre enormi, oltre a persone che in tanti modi portano aiuto?”, sono fermamente convinto che la risposta è una sola: “perché da 2000 anni a questa parte, tutte le sante Domeniche e feste comandate, in tutte le chiese sparpagliate sul suolo d’Italia, un prete annunzia che la regola fondamentale della vita è l’amore di Dio e l’amore del prossimo, che non possono mai essere disgiunti. E da 2000 anni un numero incalcolabile di persone e di comunità si rendono accoglienti a questa proposta di vita”. Tutto ciò ha creato una mentalità una cultura, una civiltà, tanto radicate nel territorio dell’Italia, come nel DNA delle persone, che oggi, persino chi non è più nel numero di coloro che ogni Domenica fanno questo, addirittura chi non si riconosce più nella Chiesa, e la ripudia, non riesce a svestirsi di questi valori, perché fanno parte di noi e della nostra identità. Una volta, davanti ad una mia domanda per curiosità sulle situazioni disagiate che si incontrano nel mondo, una cara amica, Presidente della Croce Rossa Italiana, la sen. Mariapia Garavaglia, mi confidò ciò che lei rispondeva, soprattutto nei paesi mussulmani, alle obiezioni sulla inefficacia del cristianesimo in 2000 anni: “Pensate come è ridotto il mondo dopo 2000 anni di cristianesimo, ma, soprattutto, provate a immaginare cosa sarebbe il mondo se non vi fosse stato il Cristianesimo!”. Verissimo!

Per questo vorrei incoraggiare chi tra voi ha superato la malattia, a continuare a lottare, a perseverare nella dedizione, a raffinarvi nell’impegno, con la tenacia con cui l’avete combattuta, perché la società ha bisogno ancora di testimoni della “civiltà dell’amore”, come la chiamava il Papa Paolo VI. Non solo, le giovani generazioni che crescono, talvolta nutrite da autentici disvalori, grazie a voi possono trovare coraggio nel ripudiare i cattivi maestri, perché a questi si oppongono buoni maestri di vita, voi, testimoni di convinzioni e di stili di vita veri, giusti, santi, eroici. Senza eroi e senza santi saremmo una società più povera, lasciatemelo dire, anche se so che il termine “eroi” vi piace poco, perché molti di voi hanno ribadito che non si sentono eroi, ma semplicemente gente che ha fatto il suo dovere. Grazie anche per questa testimonianza di umiltà.

Anche a voi vorrei fare un piccolo dono per dire il mio ed il nostro grazie: due testi assai significativi. Il primo è di Don Primo Mazzolari, nostro conterraneo, tratto dal suo libro Impegno con Cristo, EDB, 2007:

Ci impegniamo noi e non gli altri, unicamente noi e non gli altri,
né chi sta in alto, né chi sta in basso, né chi crede, né chi non crede.

Ci impegniamo senza pretendere che altri s’impegnino,
con noi o per suo conto, come noi o in altro modo.

Ci impegniamo senza giudicare chi non s’impegna, senza accusare chi non s’impegna,
senza condannare chi non s’impegna, senza disimpegnarci perché altri non s’impegna.

Ci impegniamo perché non potremmo non impegnarci.
C’è qualcuno o qualche cosa in noi, un istinto, una ragione, una vocazione, una grazia, più forte di noi stessi.

Ci impegniamo per trovare un senso alla vita,
a questa vita, alla nostra vita,
una ragione che non sia una delle tante ragioni
che ben conosciamo e che non ci prendono il cuore.
Si vive una volta sola e non vogliamo essere “giocati”
in nome di nessun piccolo interesse.

Non ci interessa la carriera, non ci interessa il denaro,
non ci interessa la donna o l’uomo se presentati come sesso soltanto,
non ci interessa il successo né di noi né delle nostre idee, non ci interessa passare alla storia.

Ci interessa perderci per qualche cosa o per qualcuno
che rimarrà anche dopo che noi saremo passati e che costituisce la ragione del nostro ritrovarci.

Ci impegniamo a portare un destino eterno nel tempo, a sentirci responsabili di tutto e di tutti,
ad avviarci, sia pure attraverso un lungo errare, verso l’amore.

Ci impegniamo non per riordinare il mondo, non per rifarlo su misura, ma per amarlo;
per amare anche quello che non possiamo accettare,
anche quello che non è amabile,
anche quello che pare rifiutarsi all’amore,
poiché dietro ogni volto e sotto ogni cuore
c’è insieme a una grande sete d’amore,
il volto e il cuore dell’amore.

Ci impegniamo perché noi crediamo all’amore,
la sola certezza che non teme confronti,
la sola che basta per impegnarci perpetuamente.

Il secondo testo ci allarga il cuore alle dimensioni del mondo, ed è di uno scrittore indiano, Kahlil Gibran, autore di un famoso best seller: “Il Profeta”, da qui è tratto il brano intitolato “Il dono”:

Ci sono quelli che danno poco del molto che hanno e lo danno per ottenerne riconoscenza;
e il loro segreto desiderio guasta i loro doni.

E ci sono quelli che hanno poco e danno tutto: sono proprio loro quelli che credono nella vita,
e nella generosità della vita, e il loro scrigno non è mai vuoto.

Ci sono quelli che danno con gioia, e quella gioia è la loro ricompensa.
E ci sono quelli che danno con dolore e questo dolore è il loro battesimo.

E ci sono quelli che danno, e nel dare non provano dolore,
né cercano gioia, né danno pensando alla virtù.

Essi danno come, in quella valle laggiù, il mirto esala nello spazio la sua fragranza.
Per mezzo delle mani di gente come loro Dio parla, e dietro ai loro occhi egli sorride alla terra.

È bene dare quando si è richiesti, ma è meglio dare quando,
pur non essendo richiesti, si comprendono i bisogni degli altri.

E per chi è generoso, il cercare uno che riceva
è gioia più grande che il non dare.
E c’è forse qualcosa che vorresti trattenere?

Tutto ciò che hai un giorno o l’altro sarà dato via:
perciò dà adesso,

così che la stagione del dare sia la tua,
non quella dei tuoi eredi.

Con questi sentimenti e atteggiamenti viviamo la gratuità, il presente ed il futuro che il Signore ci dà da vivere, e preghiamo che la grazia del Risorto, dia luce, calore, energia al nostro oggi e al nostro domani. Per intercessione di S. Carlo Borromeo e di S. Luigi Gonzaga Dio vi benedica.

Don Samuele

 

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