Lettera del parroco a tutti quelli che fanno parte della grande famiglia dell’Oratorio
Carissimi tutti,
bambini, ragazzi, adolescenti, giovani, genitori, educatori, vi scrivo attraverso il sito della Parrocchia perché non sono pratico di gruppi WhatsApp, ormai dovreste saperlo, credo di essere un po’ più esperto di comunità, dopo 36 anni di sacerdozio, di cui praticamente 30 passati come diretto responsabile dell’Oratorio, senza contare che all’Oratorio ci vado da quando ero all’asilo – e siamo quasi nell’Antico Testamento –.
La prima cosa che desidero fare immediatamente è salutare tutti, guardare tutti negli occhi per scendere nel cuore, abbracciare virtualmente tutti (questo almeno ci è concesso dal coronavirus), perché da tanto tempo, da troppo tempo, siamo costretti a tenere le distanze, a parlarci nascosti da una mascherina, ad incontrarci su uno schermo, a poter fare qualcosa sul web. E un parroco non può stare senza la sua famiglia.
La seconda cosa che desidero esprimere è il raccontarvi il senso di profonda tristezza ogni qualvolta guardo fuori dalla finestra di casa e vedo l’Oratorio desolatamente vuoto, senza vita, senza anima, senza relazioni … ed il pensiero corre a Breda Cisoni, dove si ripete la stessa scena, e poi a Ponteterra e a Villa Pasquali, dove regna il silenzio … non vedo l’ora di tornare a vedere l’Oratorio non come una cattedrale nel deserto, ma come una “palestra di fede e di vita cristiana”, così il Vescovo di Cremona, Mons. Enrico Assi, aveva orgogliosamente definito l’Oratorio nel documento che lo riguardava, da lui scritto con passione e con amore. Dico orgogliosamente perché era riuscito a battere sul tempo tutte le Diocesi di Lombardia nel pubblicare un documento ufficiale sull’Oratorio. E, come un Vescovo, così un parroco deve sognare!
La terza cosa che intendo proporvi è la condivisione di alcuni pensieri sull’Oratorio, anche perché quando abbiamo le cose a disposizione, diamo tutto per scontato, e non ci rendiamo neppure conto della loro importanza; quando, invece, le cose ci mancano, ci rendiamo conto del loro valore e ne comprendiamo meglio la loro identità, la loro fisionomia, ed il loro compito. E un parroco non può rinunciare alla sua missione di pastore della comunità in ogni frangente, anche nei momenti difficili.
Come esprimere in poche parole l’identità dell’Oratorio? Semplice: non si tratta di una realtà a sé, ma è il modo con cui la Parrocchia si dedica ad educare le giovani generazioni. Sì, l’Oratorio è una comunità di adulti appassionati della educazione dei giovani. Dico appassionati pensando alla definizione di educazione che dava S. Giovanni Bosco, il padre degli Oratori: “l’educazione è cosa del cuore”. Sono sempre stato convinto che il cuore è l’organo principale per fare molte cose, tra cui anche il prete, ed, invecchiando, trovo sempre più conferma di questo: “l’educazione è cosa del cuore”.
E come dipingere con poche pennellate la fisionomia dell’Oratorio? Bastano pochi colori sulla tavolozza: il verde della vitalità, il blu della giovinezza del cuore, il rosso della passione per le persone, per le loro situazioni, per la loro crescita fino a raggiungere la piena maturità, che per noi cristiani consiste nell’arrivare a configurarsi a Gesù Cristo, l’uomo perfetto, guardando il quale si diventa più uomini – così ci ricorda il Concilio Vaticano II.
E come riassumere in sintesi il compito dell’Oratorio? Direi che il nocciolo della questione consiste nell’educare un gruppo di educatori “esperti” (cioè che hanno fatto una bella e ricca esperienza), per educare altri, a 360°, cioè per educare tutto l’uomo, e tutti gli uomini.
Mi rendo conto che queste ultime parole possono sembrare una proposta quasi impossibile, visto che oggi educare è diventata l’arte più difficile del mondo, ma non è mai stata facile, ve lo assicuro. Quello che conta è il cuore e con il cuore non servono tanto le parole forbite, quanto i fatti, gli esempi. C’è una storia che mi sembra molto adatta a raccontare quello che voglio dire, è la storia di un grappolo d’uva.
In una fattoria molto lontana dal paese, in cima ai monti, viveva una famiglia, dove tutti si volevano bene. Il giorno del mercato la mamma partì a piedi, molto presto, per andare a fare la spesa. Sulla piazza del mercato, quella mattina era arrivato un venditore di frutta e verdura con prodotti veramente speciali. La mamma aveva fatto una spesa abbondante, e, per finire, aveva adocchiato un gigantesco grappolo d’uva. Davanti a quello spettacolo della natura disse tra sè: “devo proprio prenderlo per mio marito, l’uva gli piace tanto, e lavora tante ore nei campi, chissà come sarà contento, di potersi ristorare dopo tanta fatica”. Carica della sua abbondante spesa, si diresse verso casa e, ad una certa distanza dalla cascina, incontrò il marito tutto sudato. Voleva fargli una sorpresa per il pranzo, offrendogli l’uva come dessert, ma non resistette, vedendolo stravolto dalla stanchezza. Gli fece aprire le mani e gli depose il gigantesco grappolo d’uva, invitandolo a mangiarlo subito, poi proseguì lentamente la sua strada verso casa. Il marito, contento del regalo, passando per una scorciatoia, corse verso la sua dimora, per lavare l’uva sotto l’acqua fresca, ma, giunto nel cortile, incontrò suo figlio che tornava a piedi da scuola: era il primo giorno di lezione, dopo una lunga malattia. Allora gli si avvicinò, gli disse di chiudere gli occhi e di aprire le manine, quindi gli lasciò cadere in mano il gigantesco grappolo d’uva, invitandolo a mangiarlo presto, perché lo avrebbe aiutato a guarire meglio. Il babbo, quindi, andò nella stalla, mentre il bambino, felicissimo del regalo, corse veloce verso la porta di casa, e qui, seduto sulla seggiola, stava il nonno, infermo da anni, e triste di non potersi muovere. Allora pensò che il nonno avrebbe gradito molto quel regalo, che lo avrebbe fatto sentire meno solo. Al nonno fece la stessa proposta che il suo papà aveva fatto a lui: chiudere gli occhi, aprire le mani … ed ecco il gigantesco grappolo d’uva era tra le mani del nonno, mentre il bambino correva in casa, felice di essere stato generoso. Il nonno non stava più in sé dalla gioia, nel vedere la generosità del suo nipotino. Stava per staccare il primo acino d’uva per portarlo alla bocca, quando giunse nel cortile la mamma trafelata e carica delle moltissime e pesanti borse della spesa. Allora il nonno disse tra sè: “poveretta, ha fatto tanta strada, è tanto stanca e assetata, e io sto qui seduto a far niente, e per di più a mangiarmi un bel grappolo d’uva”. La chiamò e le disse: “ho un regalo per te, così potrai rinfrescarti”. E le diede il gigantesco grappolo d’uva. La mamma non riusciva ad immaginare come il grappolo fosse arrivato a casa prima di lei, ma riconobbe immediatamente il gigantesco grappolo d’uva comperato al mercato del paese. Quando si misero a pranzo, e ciascuno raccontò il suo pezzo di storia, la mamma portò in centro alla tavola il gigantesco grappolo, che tutti pensavano avesse mangiato qualcun altro, e, quando terminarono il pranzo, tutti gustarono l’uva, e, soprattutto gioirono per l’amore che li legava indissolubilmente.
Una bella famiglia, una bella storia. Ho iniziato a raccontarla dicendo “una famiglia dove tutti si volevano bene”. Mi correggo, la famiglia era speciale perché tutti non solo si volevano bene, ma volevano l’uno il bene dell’altro, tanto da sacrificarsi. La trovo assai significativa perché dice: ecco che cosa è l’Oratorio, una famiglia dove non ci si accontenta di volersi bene, ma ci si impegna a volere l’uno il bene dell’altro, tanto da sacrificarsi.
Mi auguro che l’esperienza del coronavirus, della chiusura dell’Oratorio, dell’impedimento di tutte le attività, anche del semplice incontrarsi e giocare insieme, ci aiuti a riscoprire e a rivivere l’Oratorio in questo spirito: il luogo, l’esperienza, dove non ci si accontenta di volersi bene, ma ci si impegna a volere l’uno il bene dell’altro, tanto da sacrificarsi.
Amici, ci stanno di fronte mesi non facili, ora che termina l’anno scolastico ed iniziano le vacanze vere e proprie. L’estate è una delle stagioni in cui l’Oratorio è più sentito e più vissuto. Quest’anno le norme sanitarie sono assai stringenti e non consentiranno quella libertà di movimento e di azione cui eravamo abituati. Chiedo a tutti tanta pazienza nel sopportare i disagi; chiedo a tutti tanta comprensione se, accanto a dei “sì”, sarà necessario dire anche dei “no”; chiedo a tutti tanta collaborazione, soprattutto agli adulti, perché senza una loro massiccia disponibilità saremo costretti a sospendere tante cose. Non siamo ancora in grado di dire con esattezza il quando, il come, il dove, si potrà tentare di fare un “grest” o altre attività, sappiate che non è per cattiva volontà, e neppure per fiscalismo, ma per rispetto di norme volte a tutelare la salute di tutti, soprattutto dei minori, nella logica ferrea che è meglio prevenire il coronavirus, che curare il coronavirus.
Con questi sentimenti e atteggiamenti viviamo il presente ed il futuro che il Signore ci dà da vivere, e preghiamo che la grazia del Risorto, dia luce, calore, energia al nostro oggi e al nostro domani. Per intercessione di S. Sebastiano, di S. Giovanni Bosco, di S. Agnese, e di uno stuolo di santi bambini e giovani, Dio benedica Don Alessandro, i genitori, gli educatori, e tutti i ragazzi; tutti vi protegga, vi ricolmi della sua pace e della sua gioia.
A prestissimo.
Don Samuele
Cliccando su questo link è anche possibile scaricare la lettera in formato PDF.