Letture

Domenica 14 Febbraio – Messaggio di Don Samuele

Anche oggi Don Samuele è costretto a casa dalle regole sanitarie che tutti conosciamo; tuttavia vuole essere vicino ai parrocchiani con il messaggio che pubblichiamo.

 

Auguro a tutti una serena e santa Domenica. Vorrei tanto essere con voi a celebrare il giorno del Signore, spero proprio di poterci rivedere ed abbracciare presto. Per assicurarvi che ho pensato a tutti voi vi mando l’omelia che avrei offerto a coloro che avrebbero partecipato alla S. Messa, con l’augurio di ogni bene.

Stiamo seguendo da discepoli il cammino di Gesù, e sappiamo dove ci porta: al traguardo della croce e della resurrezione. E in questo percorso con il nostro Maestro e Signore si verificano incontri significativi e cogliamo insegnamenti fondamentali per la nostra vita e per la nostra fede. L’incontro che oggi l’Evangelo ci segnala è quello tra Gesù ed un malato di lebbra, una malattia terribile, che, oltre a sfigurare le persone, le condannava ad una emarginazione necessaria per evitare il contagio. È una situazione per noi sconosciuta e con la quale abbiamo dovuto fare i conti nell’ultimo anno a causa della pandemia.
Una malattia affidata ai sacerdoti
Una situazione tanto difficile era entrata persino nella legge di Mosè, come ci ha ricordato la prima lettura. Il malato non aveva possibilità di cure mediche e doveva perciò essere portato dai sacerdoti, per lui si poteva solo pregare e chiedere al cielo la guarigione. E fino a quando questa non fosse arrivata, il malato doveva essere un espulso, quindi una doppia sofferenza: per la malattia fisica e per l’esclusione sociale. Ma nella mentalità degli ebrei questa malattia ripugnante era la conseguenza di una colpa commessa, e quindi una sorta di punizione per un peccato grave. Tanto è vero che il salmo responsoriale è tutto in questa prospettiva, e, proclamando la beatitudine dell’uomo perdonato, annuncia pure la sua guarigione dal male fisico: “Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa. Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità» e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato”.
Una fede che infrange le regole
Il lebbroso che va a cercare Gesù infrange tutte le regole: dovrebbe evitare i contatti e invece li cerca; dovrebbe rivolgersi ai sacerdoti, ma Gesù non era un sacerdote del tempio. Da uomo credente si rivolge alla sorgente stessa della guarigione e della libertà: Dio in Cristo Gesù. Ed il Signore lo rimanda agli incaricati di riconoscere la guarigione: vai dai sacerdoti, ed egli, ancora di più, infrange le regole: non ci va; ed, esortato al silenzio, racconta a tutti quello che il Signore ha fatto per lui. Quel “segreto messianico”, tanto importante nel Vangelo di Marco, viene infranto al punto che Gesù è costretto a stare in luoghi deserti, come se fosse lui il lebbroso, e la gente lo va a cercare. È strano questo desiderio di Gesù di mantenere il riserbo su quello che fa, ma è pure comprensibilissimo: la fama, la pubblicità, riescono a creare, a deformare, o a distruggere una persona. Gesù non era venuto per fare carriera, per conquistare posizioni di prestigio, ma per servire il Padre e l’umanità. Sarebbe stato un pessimo servizio, per lui, acquisire una popolarità da divo, distogliendolo dalla sua scelta di vita. Sarebbe stata una tentazione simile o peggiore a quelle che sentiremo proclamare Domenica prossima, prima di Quaresima.
L’astuzia umana e la potenza di Dio
Ma c’è sempre qualche uomo che si ritiene più furbo, più intraprendente, più efficace di Dio, e porta avanti i suoi progetti e le sue iniziative, ritenendo che Dio abbia tutto da imparare da lui, magari anche in buona fede. Nemmeno la Chiesa è esente da questo rischio e indenne da questo pericolo. Quanti cristiani credono che le loro strategie ed astuzie pastorali sono assai più efficaci dell’azione di Dio! L’Evangelo di oggi ci esorta a contemplare e a riconoscere la potenza amorevole di Dio, che risana, guarisce, salva, e, nello stesso tempo, ad avere quel senso di umiltà che ammira il nascondimento di Dio, la sua scelta di umili gesti e strumenti, perché il Regno di Dio non si impianta per la potenza di uomini superdotati e di mezzi strabilianti, ma per la forza della Verità e dell’amore. Dice il salmo 33: “Il re non si salva per un grande esercito né un prode scampa per il suo grande vigore. Un’illusione è il cavallo per la vittoria, e neppure un grande esercito può dare salvezza. Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme, su chi spera nel suo amore, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame. L’Evangelo di oggi ci assicura che proprio quando Gesù “rimaneva fuori, in luoghi deserti”, nascosto agli occhi del mondo, “venivano a lui da ogni parte”. Questa situazione ci dovrebbe far riflettere, perché l’avere dato in pasto nostro Signore, in modo indiscriminato, ha provocato una sorta di rigetto collettivo. Oggi dovremmo trovare i modi per aiutare le persone ad andare a Lui da ogni parte, magari “nascondendolo” un po’, affinché ritorni la voglia ed il gusto di riscoprirlo, perché solo in Lui trovano la salvezza, solo Lui è la via, la verità e la vita, solo grazie a Lui troviamo guarigione e libertà, dal male fisico e da quello spirituale.
«Se vuoi, puoi purificarmi!»
Oggi noi non abbiamo più a che fare con la lebbra – almeno nelle nostre terre –, ma questo non significa che non abbiamo più il problema della malattia, dell’isolamento, della solitudine, della emarginazione. Anzi, abbiamo una crescita esponenziale di quel “male del vivere” che si esprime nelle forme più varie di abbrutimento e di deformazione della nostra umanità, in quella infinita gamma di turbe psichiche o psichiatriche che danno seria preoccupazione per la vastità del fenomeno. La cronaca su cui veniamo informati, e la tanta cronaca che rimane nascosta, sono un grido di dolore che continuamente si innalza dal mondo verso Dio: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Il problema è accorgersi che abbiamo bisogno di Dio, per essere risanati; è renderci conto che senza di Lui non possiamo fare nulla; è di toccare le corde del cuore di Dio, affinché accada, nel mondo di oggi, quello che è accaduto nella pagina dell’Evangelo che abbiamo appena ascoltato: Gesù “Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!»”.
 
Ad maiorem Dei gloriam
Se Dio è diventato tanto irrilevante, tanto ininfluente, tanto fastidioso, è chiaro che tante forme di malattia continueranno ad aggravarsi e la guarigione tarderà a verificarsi. È necessario ritrovare quel senso del vivere che ha caratterizzato l’esistenza di tanti nostri padri per secoli e millenni, e che S. Paolo ci ha descritto nella seconda lettura con parole efficaci: “sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio”. Ad maiorem Dei gloriam, fare tutto per la gloria di Dio, fare le cose per amore di Dio … quanta sapienza vi è in questa ricetta, quanta forza, quanta luce, quanta speranza! E quanto conforto dal sapere che molti vi hanno provato e molti vi sono riusciti: “Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo”, diceva l’apostolo ai cristiani di Corinto e ai cristiani delle nostre parrocchie. Avere Cristo come modello, come amico, come ispiratore, come guida, come maestro, come Signore … è la garanzia che ogni lebbra può essere guarita, ogni solitudine può essere superata, ogni sofferenza trasformata in gioia, ogni morte in vita.
Ancora buona Domenica a tutti, don samuele.