OmelieOmelie Gennaio 2021

3 gennaio 2021 – Domenica II dopo il Natale – Don Samuele

Tempo di Natale – Domenica II dopo il Natale

3 gennaio 2021

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.
Nella seconda Domenica dopo Natale la Chiesa ogni anno ci offre come nutrimento
spirituale un autentico elogio della Sapienza, e questo dono si rivela quanto mai opportuno
e necessario, in un mondo dai cui altari è stato tolto il Crocifisso, che è Sapienza e forza di
Dio, per innalzare l’idolo della stoltezza. Almeno, durante la famigerata rivoluzione
francese, sugli altari di Francia il Cristo era stato tolto e gettato nella Senna, ma sostituito
dalla statua della ragione: oggi siamo scivolati ancora più in basso erigendo l’idolo della
stoltezza, che vediamo incarnata in mille episodi di cronaca, dove ci si chiede se la retta
ragione ed il buon senso hanno ancora casa nella nostra società.
Elogio della Sapienza
L’antico libro del Siracide – sto parlando della prima lettura – non usa giri di parole:
“La sapienza … in Dio trova il proprio vanto, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria … in
mezzo al suo popolo viene esaltata, nella santa assemblea viene ammirata, nella moltitudine degli
eletti trova la sua lode e tra i benedetti è benedetta”. Sembra proprio di partecipare ad una festa in
onore della Sapienza, un evento non per pochi intimi, ma per un intero popolo, perché tutto il
popolo di Dio è chiamato a nutrirsi della Sapienza e a vivere in essa e di essa. Questa Sapienza
dichiara immediatamente da chi prende la sua ispirazione: “il creatore dell'universo mi diede un
ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: "Fissa la tenda in
Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti". Prima dei secoli,

fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l'eternità non verrò meno”. La Sapienza vera
esiste solo da Dio e per condurre a Dio, somma Sapienza e sommo Amore. Questa
Sapienza, di cui ci parla il libro del Siracide, gode a stare tra gli uomini. Il problema è
capire se gli uomini godono a stare nella Sapienza. Non mi sembra una questione teorica.
Pensavo a queste cose ascoltando il telegiornale in questi giorni: la cancelliera Angela
Merkel nel suo discorso alla nazione ha invocato la benedizione di Dio sul popolo tedesco.
Se in Italia qualcuno si fosse permesso una espressione del genere sarebbe stato come
minimo linciato sui social, solo per un riferimento al Signore nell’ambito pubblico,
nell’ambito della politica. Per questo dico: il problema è capire se gli uomini godono a stare
nella Sapienza. Per questo chiedo: “Ma quando il Figlio dell'uomo tornerà troverà ancora
sapienza sulla terra?”, insieme alla fede. Dipende solo da noi e da che cosa coltiviamo
come fondamentale nella nostra vita. Perché se nella nostra vita e nella nostra anima
coltiviamo la verità, la verità cresce! Se coltiviamo il bene, il bene cresce. Se coltiviamo
l’amore, l’amore cresce. Ma se coltiviamo superficialità, banalità, o addirittura male, è
chiaro che queste cose, coltivate, crescono.
Augurio e preghiera per la Sapienza
Nutro la speranza che la risposta alla domanda il Figlio dell'uomo tornerà troverà
ancora sapienza sulla terra?” sia affermativa, anche se la sapienza e la fede rischiano di
essere coltivate solo da un piccolo gregge, ma questo è fondamentale, è il piccolo seme
che il contadino saggio custodisce protetto in una zolla di terra mentre imperversa
l’alluvione. Quando la burrasca sarà passata quel piccolo seme, rimesso in terra, tornerà a
fruttificare abbondantemente, perché il bene non muore mai. Questo sono chiamati a fare i
cristiani nella stagione in cui il gioco alla disfatta sembra abbattersi su tutto e su tutti.
Questa speranza non è quella di un incallito idealista come posso essere io, ma viene
suggerita da S. Paolo, che, scrivendo ai cristiani di Efeso, dice: “avendo avuto notizia della
vostra fede nel Signore Gesù e dell'amore che avete verso tutti i santi, continuamente
rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro
Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una
profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a
quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi”.
Questo è il dono che abbiamo ricevuto, questa è la responsabilità che ci è stata
consegnata.
Il Logos non è inaccessibile
E sempre nell’ottica di una Sapienza da acquisire maggiormente, oggi la Liturgia ci
ripropone la mirabile pagina del prologo dell’Evangelo di Giovanni, una delle più difficili di
tutto il Nuovo Testamento, che abbiamo già proclamato nella Messa del giorno di Natale.
Questa parola Verbo, – in greco Logos – significa Parola, ma anche Intelligenza,
Sapienza, Grazia, Amore –, è tutto ciò che fa brillare di gioia le stelle, come dice incantato
il profeta Baruc, e si consegna ai suoi, correndo il rischio di non essere accolto, ma di
essere considerato e trattato come un nemico, come un ostacolo, come un intralcio (così
oggi è guardata la fede cristiana negli ambienti radical chic, che magari proteggono gli
ornitorinchi o i trichechi, ma eliminerebbero volentieri dalla faccia della terra i cristiani). E
non è un rischio ipotetico, ma una triste realtà: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno
accolto”. I suoi, non i suoi nemici, i suoi, i suoi familiari, i suoi amici, i suoi concittadini,
quelli del suo popolo. Un mercenario l’avrebbero pure osannato, l’Agnello che si fa pastore
sulla Croce no. E Lui, incurante, delle opposizioni, degli affronti, del disprezzo umano, che
cosa fa? “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo
contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di
grazia e di verità”. Gesù porta nel mondo il tesoro preziosissimo della Grazia e della

Verità. Ce lo dicevamo nella festa della Madre di Dio: Se Dio ci promettesse una eredità di
qualche migliaio di euro, o di qualche biolca di terra, o di qualche appartamento, magari ci
farebbe felici, ma l’essere eredi della sua dignità, della sua vita, della sua eternità, basta
ancora alla gente di oggi? Cosa se ne fa la gente della Grazia e della Verità? Quando
persino la Chiesa, talvolta, sembra disinteressarsi del problema della Grazia e della Verità,
preoccupata ed occupata come è a districarsi nei meandri della sociologia.
Dio non serve più?
Per molti, per troppi, oggi il problema di Dio cade nel vuoto e non fa più parte delle
nostre abitudini e dei nostri interessi. “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”. Accade
oggi quello che accadde 2000 anni fa. Oggi più che mai la sua esistenza è messa in
discussione. L’ateismo non è più soltanto il problema di pochi individui: esso investe un
numero sempre maggiore di uomini, tanto da diventare un fenomeno di civiltà. «Dio non
serve a niente», questa è l’obiezione più diffusa. In effetti Dio non esiste per «servire» a
qualche cosa, come molti ancora pensano; Dio non è il medico dei casi disperati, né
un’agenzia di assicurazioni su pegni di giaculatorie o pellegrinaggi, né un alibi per
spiegare quello che l’uomo non capisce o ancora non riesce a fare. Il Dio di Gesù Cristo
non è una specie di tiranno, benevolo o irritato, secondo i casi, che interviene
arbitrariamente nel corso degli avvenimenti per arrestarne alcuni o modificarne altri.
Credere in un Dio così, è sedere nell’anticamera dell’ateismo.
Abbiamo bisogno di Dio
Non è semplice spiegarsi l’irreligiosità moderna: le sue radici affondano sia
nella coscienza individuale sia nel vissuto delle comunità. La responsabilità talvolta è di
larghe sfere della cristianità stessa che, con atteggiamenti sbagliati e con un giocare al
ribasso nella fede, avrebbero favorito il dilagare della perdita della fede. Alla base del
fenomeno dell’ateismo e dello scetticismo religioso attuali c’è, spesso, la scarsa o nulla
conoscenza dell’autentico messaggio cristiano. Perché se tanta gente, conoscesse
effettivamente il messaggio cristiano, non lo butterebbe alle ortiche con tanta facilità e
superficialità. Ci si dimentica che l’uomo in tutto il suo essere spirituale, cioè nelle sue
supreme facoltà di conoscere e di amare, è correlativo a Dio: “Signore, ci hai fatto per Te,
ed il cuore non trova pace sino a quando non riposa in Te”, dice S. Agostino. E ogni
conquista dello spirito umano accresce in lui l’inquietudine, e accende il desiderio di
andare oltre, di arrivare all’oceano dell’essere e della vita, alla piena verità che sola dà la
beatitudine. Togliere Dio come termine della ricerca, a cui l’uomo è per natura sua rivolto,
significa mortificare l’uomo stesso. La cosiddetta «morte di Dio», gridata da Nietzsche e da
altri pensatori, si risolve nella morte dell’uomo. “Dio è morto”, dice il protagonista di una
vignetta, e l’interlocutore gli risponde: “Domani dovremo andare al funerale dell’uomo!”. È
vera! Quando si dice che Dio è morto, non si va al funerale di Dio, perché Dio non muore
mai, si va al funerale dell’umanità. E allora un primo dovere ci coglie: quello di godere
della conoscenza di Dio, del suo Verbo che si è fatto carne, uomo, compagno di viaggio
della nostra vita, amico e Signore di ogni persona aperta alla Verità e al bene; e un
secondo dovere è quello di cercarlo; di cercarlo appassionatamente, dove, come e quando
egli si lascia incontrare. Troviamolo, e avremo trovato la sapienza e l’arte del vivere bene.