9 aprile 2020 – Giovedì Santo – Don Samuele
Celebrazione dell’Eucarestia In Coena Domini:
La sera nella quale imparare l’amore
Sia lodato Gesù Cristo – Sempre sia lodato
In questi giorni stiamo riscoprendo tutti, credo, il senso delle cose vere ed essenziali, e ci rendiamo conto che la cosa più preziosa sono le relazioni, e l’amore che le ispira. Stasera siamo qui affamati e mendicanti di amore, ma se lasciamo risuonare nel silenzio della nostra coscienza le parole dell’Evangelo che abbiamo appena proclamato, ci accorgiamo che non sappiamo proprio niente dell’amore. Crediamo di sapere, ci illudiamo di sapere, in realtà non ne sappiamo proprio nulla. Abbiamo bisogno di una folgorazione, di una illuminazione, di una rivelazione, per conoscere, per apprezzare, e per vivere, l’amore.
La rivelazione dell’Amore
“Sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre” [1], queste parole ci ricordano che, pienamente consapevole della morte che gravava sulla sua testa, Gesù non ha pensato affatto di disertare, non si è premurato di prepararsi una via di fuga, ma “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” [2]. Cos’è questa “fine”? Non è certo “la fine” della storia, ma è il raggiungimento del “fine”, cioè il massimo, il vertice dell’amore, esprimibile in questi termini: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” [3]. Questo vertice Gesù lo ha addirittura oltrepassato, perché non si è accontentato di dare la vita per gli amici – che si sono rivelati inesistenti, perché capaci solo di abbandonarlo e di tradirlo –, ma, addirittura, di dare la vita per i nemici, per quelli che lo vendevano, che lo arrestavano, che lo maltrattavano, che lo accusavano ingiustamente, che lo processavano, che lo condannavano, che lo torturavano, che lo uccidevano. Sapendo questo ha pure aggiunto: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” [4]. E l’Evangelo si preoccupa di sottolineare con particolare forza il contrasto esistente tra luce e tenebra, tra amore e odio, tra Dio e uomo: “Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, 3Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto” [5]. Il lavoro corruttore di Satana non impedisce, anzi, accresce la determinazione di Gesù nell’amare senza smancerie, senza sentimentalismi, nell’amare con un gesto come quello di lavare i piedi, che noi abbiamo volutamente cancellato dalla nostra cultura e dalle nostre abitudini, perché un amore che si fa servizio non piace più alla mentalità odierna, nella quale ciò che conta è affermarsi, non volere il bene dell’altro; servirsi, non servire; giocare all’amore, non impegnarsi ad amare. Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di una rivelazione di ciò che è amare, e solo Dio è in grado di illuminarci il cuore con questa rivelazione. Dio solo sa quanta supponenza la società odierna ha nei confronti di queste cose, e di quanto sussiego sono capaci anche certi battezzati, che credono di sapere già tutto, e non hanno l’umiltà di mettersi in ascolto di Dio, per imparare da Lui che cosa è l’amore e come si fa ad amare. Per questi motivi, in questa sera la celebrazione dell’Eucarestia prevede il rito della lavanda dei piedi: non è per far venire la tachicardia, ma per ricordarci che questo è lo stile del cristiano. Di solito sono i bambini che si accostano a ricevere la prima comunione ad essere protagonisti del gesto. Quest’anno è impossibile, per le ragioni che conosciamo bene, ma li vedete comunque rappresentati dalle loro fotografie, e vorrei pronunciare i loro nomi, per farli sentire comunque partecipi di questo rito, e per ricordare a loro a quale vertice di amore sono loro pure chiamati, da bambini, ma per diventare adulti: ….
Disarmati dall’amore
Se vi sembrano esagerate queste affermazioni, considerate la presunzione di Pietro, che non accetta un amore di tale portata, di tale radicalità, non lo concepisce, perché se così fosse sarebbe poi costretto ad adeguarvisi: “Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me?”. Rispose Gesù: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”. Gli disse Simon Pietro: “Non mi laverai mai i piedi!”. Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!” [6]. Come tante altre volte, Pietro fraintende le parole di Gesù e si ferma ad un livello “terra terra” del discorso. Eppure non era corto di intelligenza. Il problema è che quando si vuole capire, si capisce al volo; e, quando non si vuole capire, ci si sta anche a passare per tonti, pur di giustificarsi. Meglio far finta di non capire la logica dell’amore che ama e serve. Sì, perché l’amore vince, in quanto avvince e convince – come la Verità -, e, di fronte alla Verità dell’amore, non si può restare schizzinosi, mettersi i guanti sterilizzati, e fare attenzione di non contaminarsi, ma ci si butta in ginocchio e si dimostra di avere imparato come si fa ad amare, lavando i piedi a qualcuno. È quello che tantissime persone stanno facendo nel mondo in queste settimane: medici, infermieri, volontari, forze dell’ordine, cristiani consacrati e laici: a rischio della vita stanno celebrando la loro “lavanda dei piedi”. A volte noi discepoli dimostriamo di non capire queste cose, come era successo agli apostoli: poco tempo prima Gesù “chiese loro: “Di che cosa stavate discutendo lungo la via?”. Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” [7] -, Gesù non si è stancato di ripetersi, e di mostrare loro quale è la via per divenire “primi” agli occhi di Dio: “Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” [8]. Non ci sono più equivoci sull’amore. Questo è l’amore, niente altro, il resto sono chiacchiere. È chiaro che una proposta di questo genere sconvolge, perché è la proposta della croce, del dolore offerto per amore, una cosa troppo grande da capire, ed allora, in un’epoca di individualismo sfrenato quale è la nostra, dove non valgono più nemmeno i diritti, ma solo i capricci e gli umori, e molta gente vive secondo le fasi lunari, come le maree, che crescono e salgono – che desolazione!!! -, bisogna esorcizzare questa proposta di amore, cancellarla dalla memoria e dalle abitudini della gente, facendo il lavaggio del cervello e “ri-educando” ad una nuova visione dell’amore, che non deve essere quella evangelica, ma quella inculcata da trasmissioni zuccherose come “amici” di Maria de Filippi, dalle canzonette del festival di San Remo, da sedicenti giornaletti per adolescenti, da tutte le avventure sentimentali di attori, cantanti, calciatori, escort, che sono i divi di oggi (divus in latino significa Dio), i nuovi ‘dei’ che chiedono adorazione supina, che non desiderano uomini liberi e forti, determinati a spendersi per amore, ma vogliono gente inebetita e incapace di amare. Quante mamme e quanti papà lasciano che i loro figli vengano deformati da questa spazzatura, e, magari, comperano per loro i preservativi, credendo ed illudendosi di tirare su della gente gagliarda, mentre hanno come ultima preoccupazione della loro vita che i loro figli imparino a conoscere Cristo ed imparino ad amare come Lui – che desolazione!!! -. Ma ci sono anche, grazie a Dio, tante persone che non hanno giornaletti e schermi a disposizione, ma, nel loro piccolo, amano e servono, e quando c’è bisogno in trincea sanno solo dire: “eccomi, io ci sono”. Sono quelli che si sono lasciati educare da Gesù. E di fronte a questa alternativa dobbiamo prendere posizione, ricordandoci bene una cosa: quando sono i nemici ad uccidere Cristo, è normale, ma quando sono gli amici!!! Questa sera, in cui Cristo ama servendo, ama donando il suo corpo ed il suo sangue – perché dal suo sacrificio, noi, morti a causa del peccato, abbiamo a ricevere la vita -, ama incaricando gli apostoli di far continuare nel mondo e nella storia questa rivelazione dell’amore di Dio, Cristo ci chiede di essere disarmati dall’amore, arresi all’amore, conquistati dall’amore.
Culmen et fons
Se vi è al mondo un luogo in cui imparare ad amare così, ed un termine di confronto e di verifica, per valutare se abbiamo appreso la lezione del Signore Gesù, questo luogo è la Liturgia, ed in particolare la Messa, l’Eucaristia, che il Concilio Vaticano II, nella Sacrosanctum Concilium [9], definisce “culmen et fons” della vita cristiana. Ecco perché sentiamo particolarmente vicini stasera i bambini della prima comunione e i loro genitori. Mi piacerebbe, prima o poi, che ci fossero anche i genitori tra i protagonisti della lavanda dei piedi, così come vedere tantissimi genitori nella nostra comunità protagonisti dentro la parrocchia, l’oratorio, la caritas, dentro le tante realtà dove possiamo fare del bene a qualcuno, per non ridurre il gesto a qualcosa di sentimentale, ma per restituirgli carica vitale. Nell’amore e nel servizio, che trovano la sua fonte ed il suo culmine nell’Eucaristia apprendiamo, mediante l’ascolto e l’interiorizzazione della Parola, la contemplazione e la partecipazione al gesto di Gesù, apprendiamo l’amore, ma non alla stregua di un teorema, quanto, piuttosto, apprendiamo l’arte di amare, sempre più latitante in qualsiasi agenzia educativa: la famiglia, la scuola, la Chiesa, la società. L’Eucaristia è la sorgente dalla quale abbeverarci, e nella quale trovare l’energia di amare là dove le forze umane vacillano, perché il nostro povero amore non è meritato. L’Eucaristia è il culmine, il vertice, perché se noi abbiamo, grazie ad essa, “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” [10], impariamo, senza neppure accorgerci, a non considerare un tesoro geloso la nostra dignità, ma apprendiamo a “spogliare” noi stessi, ad assumere la condizione di servi, a divenire prossimo ad ogni uomo, ad “umiliare” noi stessi, facendoci obbedienti fino alla morte e alla morte di croce, sapendo che questa scelta di vita non ci annienta e non ci azzera, anzi, questa è la condizione perché Dio ci esaltati e ci dia un nome che è al di sopra di ogni altro nome: “benedetti del Padre”, questo è il titolo con cui Gesù, nella parabola del giudizio di Matteo, al capitolo XXV, chiama coloro che staranno alla sua destra nel giudizio, e staranno lì perché hanno dimostrato di avere assimilato l’arte di amare. L’ora storica che stiamo vivendo, la fioritura di gesti di solidarietà, di cui benediciamo Dio, chiede ai cristiani di non stare alla finestra a guardare, ma di essere protagonisti in prima persona della civiltà dell’amore. Perché come “nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; 11e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” [11], così, chi mette in pratica l’amore di Gesù, è colui che fa la storia nuova, quella che i libri non sanno raccontare, ma è tutta scritta nel cuore di Dio, e da lì non sarà mai cancellata, ma solo ricompensata con una misura traboccante che neppure riusciamo ad immaginare. Ecco perché i martiri di Abitene, davanti al procuratore romano che cercava di far loro rinnegare la fede, rinunciando a celebrare l’Eucaristia della Domenica, hanno risposto: “Sine Dominico non possumus vivere”. È una espressione sulla quale siamo invitati a riflettere molto, soporattutto in questo tempo, in cui anche noi dobbiamo per forza staccarci dalla partecipazione fisica dell’Eucarestia e accontentarci di seguirla mediante uno schermo, a causa della banalità cui stiamo condannando la Domenica e la Messa della Domenica, Giorno del Signore senza più il Signore, perché il nostro tempo è ormai infarcito di distrazioni, di impegni, di idoli, di imbecillità. Senza questa scuola di amore, rappresentata dal Signore dei giorni, la Domenica, ogni lunedì, ogni martedì, ogni mercoledì, e così via, saranno sempre più poveri di amore e grondanti di solitudine. La solitudine di Cristo che ama, e che cerca stasera persone desiderose di condividere, e di compartecipare alla sua scelta di amore, si trasformi per noi in comunione profonda con Lui, nella sua Chiesa, con l’umanità che soffre e cerca una speranza nella nostra carità. Amen.
[1] Gv. 13,1
[2] Ibid.
[3] Gv. 15,13.
[4] Gv. 15,12.
[5] Gv. 13,2-5
[6] Gv. 13,6-9.
[7] Mc. 9,33-35.
[8] Gv. 13,12-15.
[9] N. 10.
[10] Fil 2,5.
[11] Fil. 2,10-11.