11 aprile 2020 – Sabato Santo – Don Samuele
Veglia In Resurrectione Domini:
La notte della vita nuova
Sia lodato Gesù Cristo – Sempre sia lodato
Come è possibile chiudere occhio, in una notte come questa, nella quale tutto il passato trova la sua meta, tutto il presente trova il suo senso, e tutto il futuro la sua speranza? È la notte in cui si raccoglie tutta la ricchezza del mondo e della storia, e che si scontra con la povertà umana di notti passate in bagordi, gozzoviglie, e volgarità fino al mattino (il che, per qualcuno, capita non una volta all’anno, ma, regolarmente, tutti i sabati, con lo strascico di uno stordimento di massa e di qualche morto sulle strade). Se proprio vogliamo trovare un aspetto positivo a tutto, anche la pandemia che attanaglia il mondo costringe la gente ad un supplemento di saggezza e di umanità, nel gestire le notti.
La storia della salvezza” in pillole”
Siamo qui perché questa è la notte della “vita nuova”, e per comprendere questa grande realtà: la “vita nuova”, dobbiamo prendere coscienza di che cosa è la “vita vecchia”. La “vita vecchia” è il globale spegnimento dei valori, l’intristimento degli ideali, l’invecchiamento degli ardori, la morte delle virtù, la logora e ripetitiva abitudine, il sonno dell’anima, il torpore della coscienza, la fredda ripetitività senza fantasia né creatività; la “vita nuova” è l’esatto contrario, è quel fuoco che il Signore accende in noi, e che viene benedetto all’inizio della celebrazione, ricordando che una luce di speranza e di vita si accende sempre, in ogni situazione, in noi grazie alla Risurrezione di Cristo. Una luce di speranza e di vita si accende in chi viene battezzato e così muore e risorge: la Veglia Pasquale è il momento principe dei Battesimi, anche se quest’anno non possiamo celebrarli. Risorge, sì, perché l’uomo può generare solo figli che nascono, che crescono, e che muoiono. Dio, in Cristo Risorto, e mediante il Battesimo, genera figli che nascono, che crescono, che muoiono, e che risorgono. La vita vecchia e la vita nuova ci vengono raccontate dalle letture di questa notte, anche se ne abbiamo ascoltate pochissime rispetto alle 9 previste, in questa circostanza particolare. La “vita vecchia” è il mondo creato nel suo splendore da Dio, e rovinato, invece, dalla irresponsabilità del peccato umano, ci diceva la 1 lettura; la “vita vecchia” è la gioia e la grazia di vivere fratelli, in spirito di collaborazione e solidarietà tra persone e tra popoli, ed il rendere, al contrario, la vita, un rapporto tra padroni e schiavi, che solo la mano potente ed il braccio teso di Dio, sono in grado di rendere uomini liberi, così ci diceva la 2 lettura; la “vita vecchia” è quel Dio che ci strappa dai nostri sepolcri, e che, all’opposto, quando si avvicina troppo alla nostra esistenza, noi provvediamo ad emarginare, ad allontanare, a rendere ininfluente ed irrilevante, quasi che la sua presenza fosse una maledizione anziché una benedizione, questo ci ricordava la 3 lettura. La “vita vecchia” è la non accettazione della nostra dignità, racchiusa nella condizione di “sepolti con Cristo – risorti con Cristo”, “morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù” [1], partecipi non più solo della vita umana, ma insigniti, addirittura, della vita divina. La “vita vecchia” sta nel gongolarci tra le tombe dei morti, piangendo quelli che non sono più, ma incapaci di credere e di accettare che uno è Risorto, e non per se stesso, ma per far risorgere il mondo, per essere la primizia dei risorti, Gesù di Nazareth, figlio dell’uomo e Figlio di Dio, il Messia, l’atteso delle genti, il Redentore dell’uomo, il Salvatore del mondo. Questa è la storia della salvezza “in pillole” – usiamo questa immagine – che abbiamo assunto stanotte, come medicina del cuore, dello spirito, della vita, per guarirci dalla patologia della “vita vecchia” e per renderci partecipi della “vita nuova” del Risorto. È la medicina per curare il cuore spaventato e triste di tante persone che stanno vivendo il dramma della malattia e della morte di qualche congiunto, o della precarietà del lavoro e di grosse incognite sul futuro.
Il kerugma
Ma non basta prendere coscienza che “per noi uomini e per la nostra salvezza” [2] tutto questo è accaduto, è importante cogliere che per ciascuno di noi, per me, per voi, per ogni persona, bella o brutta, intelligente o colta, santa o peccatrice, questo kerugma, questo che è l’annunzio degli annunzi: la Risurrezione di Cristo, diventa esperienza di vita e partecipazione alla vicenda di Cristo. Come nel giardino che profuma di Resurrezione, prima le donne, poi i discepoli, hanno potuto vedere la tomba vuota, ed hanno avuto la grazia di credere che Cristo non era un cadavere rubato, ma il Risorto, il Vivente, il Signore, così in questa celebrazione noi viviamo la stessa identica esperienza: la memoria battesimale che faremo tra poco, ci assicura siamo passati dalla condizione di creature mortali a quella di figli di Dio immortali, e noi, che rinnoviamo le nostre promesse battesimali, siamo invitati ad esprimere la parola “Credo” ribadendo il nostro innesto nel Corpo vivente di Cristo: Lui la vite, noi i tralci; Lui la sorgente di acqua viva, noi gli assetati; Lui la luce e noi i ciechi; Lui la risurrezione e la vita, noi i “Lazzaro” che hanno bisogno di sentirsi dire “Vieni fuori!” [3]. A questa convinzione ci hanno condotto i Vangeli di Quaresima che quest’anno abbiamo meditato.
La cultura della Resurrezione
Il mondo in cui viviamo, la mentalità che respiriamo, di anno in anno, di giorno in giorno, subiscono una accelerazione che, prima, avveniva solo in millenni. Tutto sembra nuovo ogni giorno. In realtà, se ci pensiamo bene, tante forme di nuovo sono un “dejà vu”, come asserisce il libro del Qoelet: “niente di nuovo sotto il sole” [4]. La vera novità sta altrove, e consiste in una vita non più vissuta nella logica dell’usa e getta, giustificata dal fatto che oggi ci siamo e domani non ci saremo più, e chi ci sarà si arrangerà. Con questa logica stiamo appestando il pianeta, l’aria, l’acqua, la terra, il clima, stiamo facendo crescere in maniera esponenziale malattie incurabili e stiamo predisponendo scenari terrificanti per i nostri figli e nipoti. Chi non ci dice che la causa dell’epidemia che sta mettendo in ginocchio il mondo non siano proprio i comportamenti irresponsabili dell’umanità? La vera novità sta in una vita vissuta nella logica di Cristo, una vita che trasuda di amore, di dedizione, di responsabilità, di sacrificio. Questa si chiama pro-esistenza, ovvero una esistenza tutta per Dio e tutta per gli altri. Questo è il tipo di vita che l’uomo ha tentato di scongiurare, inchiodando Gesù su una croce, e sperando che questa mettesse fine ad una rivoluzione interiore, capace di sconvolgere esteriormente e beneficamente il mondo. Ma “Dio lo ha risuscitato dai morti” [5], dimostrando, in questo modo, il suo apprezzamento, la sua approvazione, per lo stile di vita nuova che Gesù ha inaugurato. Ora, per noi, celebrare la Pasqua significa credere fermamente e impegnarsi cocciutamente a realizzare un modo di vivere evangelico che trasuda di amore, di dedizione, di responsabilità, di sacrificio: anche noi siamo chiamati stanotte a vivere una pro-esistenza, ovvero una esistenza tutta per Dio e tutta per gli altri. Siamo chiamati a costruire con fatica, perché abbiamo le stesse opposizioni che ha avuto Gesù, una “cultura della Resurrezione”, ovvero a praticare e a testimoniare, a fronte alta, una “vita nuova”, nuova perché stilla amore, dedizione, responsabilità, sacrificio: una pro-esistenza, ovvero una esistenza tutta per Dio e tutta per gli altri, sapendo che questa è l’unica vera novità che noi possiamo regalare al mondo. Annunziare la Resurrezione di Cristo, significa renderla tangibile, visibile, palpabile, renderla affascinante, perché chi giace nelle tenebre e nell’ombra di morte, possa, visitando il sepolcro di Cristo, trovarlo vuoto, e da qui ripartire per portare la forza dirompente e trasformante della sua Resurrezione ad ogni persona che, soprattutto per l’emergenza che ci attanaglia, rischia di perdere la fede, di vedere sfumare la speranza, di non capire più il senso della carità. Cristo Risorto possa mostrarsi a tutti, sani e malati, dediti alla cura degli altri e timorosi di sporcarsi le mani, credenti e uomini di buona volontà, possa rivelarsi come la nostra salvezza. A tutti faccia dono della sua amicizia e della sua pace; del suo cuore, grande come il mondo, della sua vita, sempre spesa a gloria di Dio e dell’uomo vivente.
[1] Rm. 6,11.
[2] Articolo del Credo Niceno-Costantinopolitano.
[3] Gv. 11,43.
[4] Qo. 1,9.
[5] È questo l’annunzio che ritorna in ogni predica di Pietro e degli Apostoli, come testimoniato in svariati passi del libro degli Atti.